Vivere di gratitudine
Questione complicata quella del possedere, basta poco per diventare una schiavitù asfissiante, un continuo accumulare per dimostrare a se stessi e agli altri la quota d’importanza acquisita, forse, a prezzo di una libertà perduta.
Sì, perché quello che hai devi mantenerlo e custodirlo e, magari, farlo fruttare, altrimenti diventa una voce passiva nelle proprie economie.
Come rimanere umani e non perdere la bussola in un mondo, quello odierno, che non fa altro che quantificare tutto per dargli valore o per accantonarlo?
Il Vangelo di oggi (Lc 16, 1 – 13) fornisce una prospettiva dirompente in quanto rivela come un individuo corrotto, perché schiavo dei possessi, ne viene fuori intuendo il valore relazionale di quel che aveva e, quindi, ne approfitta per procurarsi nuovi amici. Non valuta più gli averi in termini di possesso ma di occasione per costruire relazioni nuove e gratuite.
Fino a quanto non si comprenderà l’importanza del dono, continueremo a produrre scarto e società tossiche dove le innumerevoli dipendenze sono solo uno dei tanti sintomi dell’avere sostituito le relazioni umane con la proprietà delle cose.
Il dono, piuttosto, apre alla gratitudine e, al contempo, rivela quello che siamo. Ciascuno diventa adulto proprio quando scopre che l’amore non ha un prezzo e che la storia non può essere frutto di una continua rivendicazione ma di uno sguardo capace di andare oltre il minuscolo segmento dell’errore proprio o altrui, fino a scorgere che l’esistenza personale è molto di più, è dono!
È necessario, però, far crollare il mito dell’autosufficienza perché se non sapremo accogliere gratuitamente non saremo capaci di dono autentico, in quanto, il gesto si trasformerebbe nella pretesa di dominare l’altro, fosse solo perché idealizzati quali salvatori.
Il dono, dunque, è meraviglia per chi lo riceve ed è gioia per chi lo consegna e presuppone un tenere l’altro nel cuore. Il regalo, allora, diventa espressione di una relazione e l’oggetto perde il suo valore intrinseco perché vale in quanto frutto del pensiero altrui.
Il concetto di “proprietà”, dunque, sembra averci confusi sul senso delle cose e sul come siamo chiamati ad abitare questa terra. Intere vite spese per avere e, quindi, private del gusto del dono gratuito.
Quanto Francesco d’Assisi raccomandò ai suoi frati di vivere in povertà, lo fece perché, spogli di tutto, potessero continuare a vivere pienamente del dono per l’altro e della provvidenza da accogliere ogni giorno senza essere “distratti” dal timore di perdere qualcosa.
Se il possesso chiude nella fame di continui bisogni, il dono invece apre alla gratitudine e al desiderio di bene, cioè di potere condividere perché è esperienza che si moltiplica ogni volta che l’accogliere si trasforma in donare. È anche per questo che il rito del matrimonio si esprime con l’espressione “ti accolgo”, come ad indicare che l’altro non è mai conquista da padroneggiare, ma regalo da custodire.
La vita di ciascuno, allora, è un dono inedito e irripetibile, e ad ogni persona è dato di vivere ma quando è la paura a dirigere le proprie scelte allora il dono si spegne e non si è più capaci di portare frutto.
Il dono ci consegna alla vita impotenti ma fiduciosi, disarmati e pertanto capaci di dare più che di trattenere. Il dono, in realtà, è proprio di chi si sente custodito dal Cielo.