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Argomenti

Educativa di strada, Incontri culturali, Mediazione ai fini della conciliazione, Ricerca di Dio

Senza Pace non c’è Comunità

La cultura perbenista cerca una pace che equivale a non disturbare per non essere disturbati. Oggi si parla molto di pace, ne abbiamo fatto un tema denso di conferenze e di speculazioni filosofiche ma, chiediamoci, chi si spende per la pace? E, ancora, quale è il prezzo per costruire la pace?

Nemica della pace è la paura, quella paura che fa organizzare la vita attorno alla morte e che priva l’essere umano della capacità di amare.

Fino a quando si percepisce l’esistenza come un incedere dei giorni che va verso la morte, allora, accade che ciascuno si organizza per trovare una tana funzionale al quieto vivere e tale postura di vita, di fatto, tradisce la pace!

Limitarsi a non fare il male può produrre una grande indifferenza come quando di fronte alle strutture di peccato, che feriscono il nostro pianeta e i popoli più poveri, si rimane spettatori. Accogliere la pace significa interessarsi e prendersi cura degli ultimi, resistere alle logiche consumistiche che violano l’ambiente, opporsi alla corruzione e al male che risponde alla logica del potente di turno.

Il Risorto entra in mezzo alla Comunità nascente e dona la Sua pace ma non come la dà il mondo e cioè la tregua fondata sul potere degli uni verso gli altri, piuttosto è la pace che arriva al dono della vita per la causa dei piccoli.

Dimora in quella pace il martire che non teme la minaccia di morte, chi condivide del proprio pagando in prima persona: è in pace chi sa di avere un Padre che lo ama.

L’umanità dei nostri giorni è inquieta perché rimane trincerata in posizioni di conquista come se il vivere fosse una questione di grandezza e non di umiltà. L’umile, piuttosto, si riconosce amato e sa di non potere bastare a se stesso, abbandona la postura difensiva e si affida al quotidiano sapendo che c’è sempre un oltre da scoprire e un nuovo insegnamento da trovare.

Quando Gesù mostra i segni della crocifissione rivela ai discepoli un nuovo modo di guardare: loro non sono colpevolizzati ma si rendono conto, vedendo, che il Maestro li ha amati sino alla fine e continua a donarsi a loro.

La Comunità nasce da questa esperienza d’amore senza pretesa ed è tale dono gratuito a provocare la risposta degli apostoli. Il nostro mondo abbisogna di questa contaminazione perché sul piano della ragione i rapporti umani finiscono con il rivendicare diritti per sé che, spesso, ledono il prossimo. Simile individualismo ben presto si trasforma in ingiustizia sociale.

La beatitudine evangelica “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio”, esprime una capacità ben differente in quanto la pace è frutto dell’identità di figli e viene realizzata attraverso il dono di sé. Quanti vivono consumandosi nella pace sono riconosciuti figli perché vivono dell’amore proprio del Padre.

L’esperienza di fede, dunque, si esprime nella riconciliazione ossia nel donare il perdono che si riceve da Dio e, quindi, nel condividere la relazione d’amore che nutre la propria vita. L’amore vero genera gratitudine e questa è sorgente che alimenta la costruzione della pace in questo mondo.