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Educativa di strada, Palermo, Psicologia della Religione

Senza fiducia non si può sognare

La cultura del fast food ci ha abituati ad un gusto alterato, si pensi alle carni coltivate in laboratorio o ad altri cibi sintetici come, ad esempio, al pane confezionato per le grandi catene come McDonald’s che ai tre elementi basilari quali farina, acqua e lievito, aggiunge altri sedici ingredienti…

Tutto ciò procura affezione al pasto veloce e “gustoso” e, al contempo, oltre ad alterare il gusto crea disaffezione al banchetto quale spazio dell’interesse per l’altro già nella fase di preparazione accurata di ogni pietanza, e che esprime il luogo della condivisione e della relazione in cui ci si racconta reciprocamente.

Il cibo, infatti, oltre a sfamare porta con sé una dimensione relazionale, il desiderio di bene per chi lo riceve. Nei primi anni di vita, ad esempio, l’infante sperimenta che l’accudimento amorevole dei genitori è più importante del cibo stesso, invero, molte patologie trovano origine nella mancata cura affettiva durante l’infanzia e i disturbi alimentari ne esprimono il sintomo.

Chi si concentra unicamente sulla propria fame da soddisfare perde di vista il di più contenuto nel nutrimento e rischia di rimanere schiacciato su un piano di superficie in cui l’altro non ha valore se non in rapporto ai propri bisogni.

Il tema è molto presente nella Scrittura fin dal racconto delle origini quando un cibo carpito in modo furtivo, rinunciando a tutto il resto offerto gratuitamente in dono, diventa il segno tangibile della ferita relazionale con Dio.

Nel Vangelo di questa domenica (Gv 6, 51-58) Gesù risponde alla mormorazione dei giudei i quali resistono alla Sua proposta di accogliere il “pane del Cielo” e, altresì, cerca di spostare l’attenzione della folla che lo cerca solo perché ha partecipato alla prodigiosa condivisione dei pani che sono bastati per tutti. Il Maestro sa bene che il rischio è quello di una dipendenza che non permette di riconoscere il volto del Padre il quale provvede ai suoi figli, per cui introduce il senso di un pane che dura in eterno.

Loro lo riconoscono come il figlio di una coppia di Nazaret, figlio di un falegname, e questo tutt’al più potrebbe dargli la possibilità di procurare dei pani, qualcosa di quantificabile ma non il cibo che non perisce. Nella loro comprensione sono fermi al cibo che sfama e quindi alla dimensione del calcolo, dell’accaparramento per garantirsi la vita, ed è perciò che fraintendono il discorso di Gesù.

Lui li invita a non mormorare “fra loro” e cioè a non chiudersi in un ragionamento che non ammette confronto inedito, così come faranno i discepoli in cammino verso Emmaus che si gettano addosso discorsi di morte.

Continua a mormorare chi vuole garantirsi la vita da solo e, dunque, non si fida del dono gratuito di Dio. È questo l’interrogativo di sempre: dare credito alla propria fame per paura di morire o fidarsi di chi sostiene la propria vita per amore?

Piegare il Cielo alla soddisfazione dei propri bisogni è la preghiera dell’uomo religioso che misura la presenza del Signore in base alle soluzioni ottenute. Questo significa sottoporre ad esame Dio dandogli credibilità a seconda della personale comfort zone raggiunta: “sto bene dunque Dio esiste”!

Nel mentre che la folla vorrebbe altro pane, Gesù invita a cercare il pane che non perisce superando la fatica dell’attesa o del cammino per raggiungere la meta. Rimanere su un piano emergenziale, di continuo appagamento immediato, non permette alcuna evoluzione perché non costruisce futuro e bene condiviso. L’appagamento immediato riduce al “bene per me” e al “tutto e subito” ma l’umano è molto di più di un istante e il “cibo per la vita eterna” ha una valenza ben diversa dal piacere immediato.

Gesù, per esprimere l’intima relazione che lo compromette con l’umanità, usa un’espressione intensa “chi mangia me vivrà per me”. Mangiare Lui equivale ad accogliere in pienezza la Sua vita senza tenere nulla per sé e cioè ospitarlo senza lasciare zone d’ombra a Lui nascoste. Gli si cela il peccato quando si vuole vivere nel compromesso o si pensa che lo si possa superare senza bisogno della Sua misericordia.

Il vivere per Lui, piuttosto, esprime il riconoscerlo alla fonte della vita ma anche il sentire la propria missione legata alla Sua. Il cristiano parte da un nutrimento, il pane del Cielo, che lo trasforma e lo spinge a consumarsi per amore.

Questo è possibile scoprendo la paternità di Dio e, quindi, la propria figliolanza. Il Padre offre pane e pesce e non “pietre o serpi” come aveva raccontato Gesù (Mt 7, 9-11). L’equivoco delle pietre che potrebbero diventare pane è opera dell’illusione onnipotente che vorrebbe indicare qualsiasi cosa come cibo. In realtà non tutto nutre e c’è del cibo apparente che procura la morte.

Entrare nel rapporto filiale con il Padre equivale a riconoscere in Cristo il vero cibo fino a lasciarsi trasformare dal Pane che si accoglie.

Questa è la via che ci rende capaci di comunione divenendo semi di riconciliazione in questo mondo. Non sempre è facile e spesso occorre discernimento per custodire il gusto della comunione senza, però, scadere nell’indistinto come se tutto potesse andare bene.

In questi giorni attendiamo con trepidazione la riapertura del Nido di Danisinni dopo vent’anni di abbandono. Uno sfregio all’umanità che abita il nostro rione e che, alcuni anni fa, l’Amministrazione voleva risolvere con la demolizione e l’allestimento di due prefabbricati e un giardino per creare un’area ludica e apparentemente innovativa in modo da sanare la frattura sociale creatasi dopo la chiusura del polo materno-infanzia.

A primo acchito quella poteva sembrare una scelta di riqualificazione significativa, almeno per colmare il degrado che stava inghiottendo la piazza ma, in realtà, quella sarebbe stata un’azione veloce ed esteticamente appagante ma la “fame” a cui bisognava rispondere era ben altra.

La mensa del Vangelo educa al gusto della cura degli ultimi, alla custodia del diritto al futuro dei piccoli, al senso di giustizia verso la dignità degli esclusi che vengono condannati a non avere più diritti in questo mondo, alla responsabilità verso i senza voce i quali, con lo sguardo che trapela dai volti solcati dalla fatica, attendono risposte concrete e non più parole vuote.

È per questo che la nostra Comunità ha respinto la proposta lusinghiera e insieme a tutta la Comunità Educante Zisa-Danisinni ha perseguito la via alternativa della riparazione dell’intero plesso scolastico. Oggi assistiamo ad un sogno che diventa realtà e il prossimo 9 settembre, finalmente, celebreremo la riapertura per l’inizio di un nuovo cammino.

Nutrirsi del “pane di vita” ci trasforma nel Corpo di Cristo, tutta la nostra esistenza viene assimilata alla Sua. Torna l’invito di Gesù ai suoi discepoli: “date voi stessi da mangiare”; a ciascuno è dato di consumarsi per amore del prossimo e, così, restituire gusto al nostro mondo.