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Educativa di strada, Palermo, Psicologia e vita, Ricerca di Dio

Profezia dei nostri giorni

Stupirsi è questione del cuore e della mente. Capita, invece, di rimanere rigorosamente programmati e il nuovo che esce dai propri schemi appare come impossibile anche se evidente, ed è allora che il pregiudizio diventa la via per contestare o cercare di eliminare quel che rivela novità o cambiamento.

I profeti non hanno patria, si ripete anche nel Vangelo, come a significare che l’apertura non ammette stanzialità perché chi rimane in ascolto e riconosce i segni per leggere la realtà, deve essere disposto a lasciarsi condurre andando oltre, oltre le apparenze e oltre i confini, e questa esperienza ci fa sentire cittadini del mondo e non solo di una parte di esso.

Quando riconosciamo che la fraternità è l’unico modo per stare sulla terra ecco che la profezia diventa possibile perché il profeta parla e agisce per il bene di tutti e non per il tornaconto personale. Chi coltiva inimicizia o pretesa superiorità rispetto all’estraneo, invece, si priva dell’ascolto e in quel caso la relazione umana viene filtrata a seconda della convenienza di turno. È perciò che i rapporti di vicinato così come quelli internazionali, possono trasformarsi in “minaccia” da cui difendersi.

Ci rendiamo conto di quanto siano complesse le relazioni tra gli stati o i rapporti umani anche all’interno di un condominio ma le notizie di questi giorni, come il continuo schieramento di contingenti militari in Ucraina o le liti furibonde nelle nostre strade, denunciano un grave malessere relazionale.

È necessario assumersi la responsabilità del cambiamento facendo la propria parte per contribuire al bene comune e alla evoluzione della storia dell’umanità. Proprio ieri sera Sergio Mattarella accettando la nuova elezione alla carica di Presidente, pur avendo altri progetti personali, ha testimoniato a tutto il Paese cosa significa sentirsi custodi del bene altrui.

La pagina del Vangelo di oggi (Lc 4, 21 – 30) evidenzia la necessità di una scelta da cui nessuno può sottrarsi. Troviamo Gesù contestato dai suoi concittadini con i quali ha condiviso trent’anni di vita ed è proprio questo il punto: nella ordinarietà del quotidiano, generalmente, molti non ammettono profezia perché preferiscono rimanere nelle proprie zone di comfort.

Se il prossimo può dare risposte inedite alla vita osando mettersi in gioco, allora questo interpella anche me. Se, invece, è l’eroe di turno a mostrare gesti arditi allora mi entusiasmo ma vivo di rendita rimanendo comodamente spettatore!

Gesù ha appena annunciato la liberazione degli schiavi, l’opera messianica che si realizzerà attraverso Lui. Poi rispondendo alla loro incredulità racconta di come i profeti Elia ed Eliseo furono accolti e poterono agire grazie a due pagani, la vedova di Sarepta e Naaman il Siro. In questo modo, Gesù, sta scardinando le certezze difensive della Legge secondo la quale lo straniero non poteva essere custode della grazia o il Messia doveva rivelarsi in modo straordinario.

La novità sta proprio nel rivelare la vicinanza di Dio che opera nella storia di ciascuno attraverso una prossimità che interpella tutti e, quindi, provoca delle scelte. L’attenzione è posta sull’ “oggi” perché dall’ascolto, immediatamente, scaturisce una risposta e ciò significa lasciarsi condurre e smetterla di trincerarsi dietro i propri calcoli di convenienza. Resiste a quest’azione chi fa della propria religiosità un castello da cui ergersi e dentro cui trincerarsi.

La storia biblica è storia attuale e il credente che accoglie la Parola diventa contemporaneo di ciò che ascolta, la Parola infatti è viva e attende di concretizzarsi attraverso l’opera dei cristiani in questo mondo. La profezia torna a rivelarsi e cioè a destare dal sonno, a risvegliare le coscienze e a denunciare l’ingiustizia verso i piccoli e ad annunciare la via del bene.

Se è vero che il profeta paga in prima persona, subendo minacce e persecuzioni, il Vangelo mostra come Gesù vada oltre, perché nessuna logica di buio o di morte può arrestare il cammino della vita vera, cioè, quella che conduce verso la meta.

Torna ancora il motto che il caro amico Leonida Bombace ripeteva dopo averlo accolto dagli indios: “Hanno provato a seppellirci, non sapevano che eravamo semi”.