Pietre d’inciampo
C’è un’inquietudine che alimenta la passione per la vita, il desiderio che spinge verso la meta, la capacità di sostenere la fatica per difendere la causa del bene.
L’indifferenza, invece, uccide non solo chi viene lasciato in balìa dei carnefici ma anche quanti la utilizzano per ricercare la propria felicità. Il mito contemporaneo di una felicità individualistica e cioè priva della condivisione con gli altri, infatti, è solo un’utopia perché nessuno potrà mai trovare felicità senza l’altro.
La felicità non è l’obiettivo primario ma è sempre il frutto di un percorso che fa stare nelle questioni della vita compromettendosi per il bene comune. Spendendosi per gli ultimi di ogni luogo e cioè per quanti sono umiliati dalle logiche di potere di questo mondo e, ancora, reagendo alle forme di ingiustizia, anche quelle ancora non viste perché distratti dalle comodità, che violano l’esistenza del prossimo.
Non c’è felicità senza amore e, questo, non può essere ridotto ad uno stato d’animo temporaneo ma puntualmente è il frutto del sacrificio per l’altro. L’esistenza personale, dunque, si riassume nella scoperta della causa da abbracciare fino a consumarsi per essa.
Abbiamo appena celebrato la Giornata della Memoria ricordando quei luoghi abitati fino al momento della terribile deportazione, quelle case sono diventate “pietra d’inciampo” perché assai grave è stata l’indifferenza che ha contribuito alla Shoah.
Sei milioni di Ebrei sistematicamente uccisi per il delirante obiettivo di creare un mondo più puro e pulito, un’ideologia che non ammetteva pensiero divergente colpendo anche zingari, omosessuali, oppositori politici e dissidenti a motivo della loro fede. In simile scenario c’è da chiedersi quale sia stata la posizione dei trecentosettanta milioni che abitavano l’Europa fra il 1939 e il 1945 e come mai il cristianesimo sia rimasto spettatore di così abominevole genocidio!
Interrogativi che provocano necessaria riflessione e che portano a discernere da che parte si vuole stare. Da allora il cammino personale non può procedere in modo lineare, se si vuole ascoltare la propria coscienza, e a ciascuno è dato di ricercare nei meandri della storia l’umanità smarrita e prendersene cura lasciandosi coinvolgere dal grido dei “senza voce” di ogni tempo.
Oggi la pagina evangelica delle Beatitudini offre una prospettiva chiara che diventa scelta di campo per definire la postura del cammino cristiano.
Si parla di povertà, giustizia, mitezza, pace e misericordia, perfino di purezza ma offrendo una visione diametralmente opposta alla logica capitalista in cui siamo immersi.
I puri di cuore sono felici perché vedranno Dio ma si tratta di una purezza inedita che supera la logica dicotomica del puro e dell’impuro perché si regge sull’amore che accorcia ogni distanza e sana le ferite relazionali.
Gesù si avvicina agli scartati del suo tempo e, per questo, viene giudicato peccatore perché, secondo la logica della purità, avrebbe dovuto rimanerne distante giudicando il loro peccato. Si pensi a Francesco d’Assisi che scopre la sua vocazione abbracciando un lebbroso, ma proprio lo scartato della società medievale gli permette di scoprire il valore della fraternità dove nessuno può dirsi escluso.
La giustizia assume connotati nuovi, dunque, e a ciascuno è dato di difenderla per amore dei più piccoli. Il criterio di verifica non è più il proprio tornaconto, ossia il “mi piace”, ma il prezzo che moltitudini devono pagare per garantire il benessere di pochi.
Guardare le conseguenze delle proprie azioni è lo spirito delle beatitudini, perché le guerre non sono casuali e scoppiano a motivo di ingiustizie perpetrate, lo stesso accade per i disastri ambientali e per il processo di disumanizzazione che porta a continui agiti di violenza sempre più efferata nelle nostre città.
Una società tossica e cioè che produce continue dipendenze, da sostanze, da gioco d’azzardo, da acquisti, dalle relazioni virtuali, produce continua infelicità. Per riscattarsi è necessaria una visione divergente capace di rigenerare prossimità nel bene. Tale causa va perseguita secondo la modalità delle beatitudini dove i perseguitati o i miti sono detti felici perché eredi della terra.
A ciascuno è dato di scegliere per quale battaglia combattere ma fino a quando l’umanità andrà dietro a innumerevoli cause perse, continui conflitti dove alla fine non c’è nessun vincitore, non potrà esserci evoluzione. Il mite, piuttosto, sa che la terra è eredita e cioè dono del Padre e, pertanto, si spende per custodire la pace e la misericordia tra gli uomini.
Il mite, giusto per non cadere in fraintesi, non rimane spettatore ma difende senza riserve l’unica causa buona della vita, quella della comunione con il Cielo. Non nutre la brama di possesso e di conquiste per dichiarare il proprio valore e non si lascia comprare dalla logica dei potenti. Non cede ai ricatti dei mafiosi di turno perché sa di appartenere al Padre e difende la dignità del suo essere figlio.
Il mite, dunque, non cerca la perfezione negli altri, non idealizza il contesto che abita ma custodisce la pace che gli viene dal sapersi figlio di Dio. Anche la beatitudine nella persecuzione a causa della giustizia traduce la visione di chi non cerca di difendere le apparenze o la propria gloria. Chi si spende per il bene sa che c’è un prezzo da pagare, un sacrificio di sé che, alla fine, contribuirà alla crescita umana. Sebbene i risultati spesso non siano evidenti, l’amore donato per il bene altrui porta sempre frutto e, certo, è già ponte per il Cielo.
A ciascuno, dunque, è dato di essere artefice di processi di umanizzazione e le conseguenze, nel bene, saranno sorprendenti ed imprevedibili.