Non è il PIL a misurare l’autenticità della vita
Lo sviluppo delle nazioni e la qualità di vita di un popolo, ai nostri giorni, viene misurato attraverso il PIL e la crescita esponenziale dei consumi disponibili per ciascuno. Un modello che produce inesorabilmente scarto e marginalizzazione sociale, intere fasce di popolazione che diventano invisibili e, pertanto, da reprimere quando fanno sentire la loro voce. Un sistema che continua ad imporsi seguendo una massima di fondo: la parola non gradita è da fare tacere!
A fronte di questa pretesa onnipotenza di alcuni, il tempo di pandemia ci ha fatto fare i conti con la precarietà e la vulnerabilità del genere umano, siamo mancanti, incompleti e bisognosi gli uni degli altri. I rapporti umani hanno mostrato la loro fragilità e l’individualismo ha continuato a ferire ma alcuni hanno riscoperto la valenza della relazione e la possibilità di cura che ne deriva.
La tempesta nel cammino della vita, infatti, per alcuni diventa occasione per ripensarsi e scoprire in modo inedito l’itinerario da affrontare. È quello che leggiamo nella pagina del Vangelo (Mc 5, 21-43) di questa domenica quando di fronte alla morte, una donna e il padre di una bambina. si rivolgono a Gesù. La morte è l’emblema della limitatezza umana e il modo di fronteggiarla fa la differenza culturale tra i popoli.
Ad introdurre la pagina del Vangelo troviamo un testo lapidario del libro della Sapienza che potrebbe lasciare sorpresi: “Dio non ha creato la morte egli infatti ha creato tutte le cose perché esistano” (1, 13).
Non si tratta, certo, di rinforzare la spinta culturale contemporanea che vorrebbe esorcizzare la morte usando innovativi rimedi estetici o negandola attraverso una parvenza di felicità data dai beni o relazioni di consumo; alcuni arrivano perfino, in modo paradossale, a coltivare il culto della morte come se simile alleanza potesse toglierne il potere. Il testo della Sapienza, piuttosto, svincola da un determinismo mortifero perché rimanda alla relazione con Dio che resta per sempre se custodita nel bene e nella giustizia. È preludio a quanto sarà pienamente rivelato nel Vangelo perché l’amore è l’unico moto dell’essere umano ad avere cittadinanza in Cielo.
Eppure la vita appare inscindibile dalla morte perché, quella umana, è una vita mortale e affermare il contrario equivarrebbe a tradirne la lettura. Ed è proprio questo il punto: la precarietà esistenziale è avvicinata da Dio, Lui si fa prossimo comunicando la sua vita!
La donna emorroissa è ritenuta impura ed emarginata da ogni tipo di contatto con persone e cose, lei osa uscire da questa negazione intuendo la vicinanza di Gesù e tocca il lembo della sua veste e cioè la frangia che serviva a ricordarsi dei comandi del Signore e così mantenere la direzione della vita. Tale gesto equivale ad affidarsi al suo insegnamento e così guarire da quell’esperienza mortifera.
Gesù nell’essere toccato comunica la sua vita e ciò è proprio del compromettersi di Dio il quale si lascia incontrare dalla creatura per donare la propria esistenza caratterizzata non solo dall’immortalità ma anche dall’amore, senza il quale non c’è immortalità. Poi chiede di lei perché l’amore non è furtivo ma espressione di una relazione in cui Dio desidera amare e così liberare ciascuno.
Anche Giairo dopo essere stato da maghi e pseudo guaritori affida la figlia a Gesù, ha sperimentato l’illusorietà di tutte le altre possibili “soluzioni” e, divenuto povero ed inerme, ora consegna tutto a Lui.
Interessante notare come l’arrivo di Gesù venga deriso e beffeggiato in quanto si resiste ad un altro tipo di guarigione dalla morte. Lui li scaccia fuori così come scaccia il Male che imprigiona la vita di molti che incontra e, in questo modo, libera la fanciulla e i suoi cari da ogni ferita. Al termine della guarigione invita loro a darle da mangiare come a rivelare che la tenerezza e i gesti di cura sono quelli di cui abbisogna l’animo umano.
Oggi nel ricordare l’anniversario della strage di Ustica, era il 27 giugno 1980, in cui persero la vita ottantuno persone in volo sull’aereo di linea che di lì a poco li avrebbe visti atterrare a Palermo, siamo consapevoli che le trame umane possono essere capaci di abomini pur di coprire gli interessi dei potenti, ma ciononostante continuiamo a credere che il viaggio della vita è fatto per il Cielo.