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Muoversi verso l’altro

W come What’s up. L’espressione tipica dello slang americano traducibile con il colloquiale “come va” o “che succede”, esprime una relazione diretta e interessata verso l’altro, un modo confidenziale per avviare una conversazione.

Nel 2009, poi, la frase unita al termine “app” è stata adottata per dare nome alla nuova applicazione “WhatsApp” inerente alla messaggistica multi-piattaforma che permette di inviare oltre ai messaggi anche foto, video, documenti e messaggi vocali.

Il WhatsApp, dunque, ha reso possibile una conversazione a migliaia di chilometri di distanza amplificando le informazioni che sincronicamente è possibile fornire fino ad ampliare la cerchia di interlocutori che contemporaneamente interagiscono. La grande sfida pare quella di coniugare mobilità e stabilità, conoscenza e relazione.

A fronte di una ricerca di libertà autoreferenziale in cui il legame pareva un vincolo eccessivo si è scoperta la comune interdipendenza e il bisogno reciproco di comunicare, pertanto le interconnessioni sono aumentate di numero e sono diventate molto più veloci anche facendo uso delle emoji ma, questo, non ha garantito una maggiore conoscenza o capacità comunicativa!

Potremmo essere saturi di stimoli, immagini e parole condivise ma non esserci realmente conosciuti. Ciò non perché lo spazio digitale non ne dia la possibilità ma perché si può rimanere risucchiati dalla ricerca compulsiva di informazioni e stimoli senza realmente esporsi al rischio della relazione che necessita di profondità, di silenzi e capacità di sostenere l’attesa.

L’essere umano, a differenza di un calcolatore, abbisogna di sostare per dare senso e risonanza a quel che riceve. Mentre alla macchina serve solo immagazzinare dati, la persona li interiorizza.

Nel tempo accade l’incontro e non importa se per strada o sul web, quello che resta necessario è il fare esperienza dell’altro ammettendo di fargli spazio dentro di sé.

La stanza virtuale, dunque, è parte del nostro mondo e, ricordiamo, nel tempo della pandemia è diventato il luogo più frequentato il quale ci ha permesso di rimanere insieme anche se distanti fisicamente. In quei mesi abbiamo continuato a lavorare, a comunicare per supportarci o lamentare i nostri disappunti, e ci ha permesso di non fare delle restrizioni un totale isolamento sociale.

Ammettiamo, dunque, che la tecnica ha cambiato il modo di percepire se stessi nel tempo e nello spazio, il criterio di strutturare gli impegni giornalieri e ha ampliato le interazioni possibili.

Se questo è proprio dei processi culturali sempre in divenire il movimento attuale rischia di frammentare le relazioni e le conoscenze reciproche per cui con maggiore attenzione  ci si deve prendere cura dei rapporti umani navigando questo nuovo mondo senza perdere la creatività e l’apertura al nuovo.

WhatsApp, non a caso, rimane una domanda esistenziale che ci provoca interiormente chiedendoci come sta andando per davvero e la risposta è frutto dell’interscambio e non dell’isolamento sociale.

Un tempo troppo pieno e saturo di stimoli, priva di valore ogni informazione e spegne la creatività. Il ritmo multitasking sfibra e riduce la produttività sebbene l’illusione sia di accresciuta onnipotenza.

Ammettere il bisogno di pausa, il cosiddetto “tempo perso” che in realtà si rivela incredibilmente creativo, è un atto di onestà ma trova parecchie resistenze perché nell’iperattività ciascuno ha la percezione di riuscire a controllare e a governare tutto. Stare in continua produzione o corsa per sentirsi efficaci, invece, finisce con lo spegnere la creatività e stancare enormemente.  

Fermarsi, dunque, permette di approfondire e di lasciare risuonare quanto ricevuto andando oltre le apparenze. L’ascolto è frutto del cammino, della compagnia vicendevole, e fino a quando si rimane chini su se stessi il giudizio viene falsato. Entrare in relazione è spostarsi verso un altro e ammettere di avere bisogno per continuare a stare nell’avventura della vita.

“W” come WhatsApp, come interesse per l’esistenza altrui, come uscire da sé per rimanere in cammino. Risuona una citazione di David Maria Turoldo: “Anima mia canta e cammina, anche tu, oh fedele di chissà quale fede, oppure tu uomo di nessuna fede, camminiamo insieme e l’arida valle si metterà a fiorire. Qualcuno, colui che tutti cerchiamo, ci camminerà accanto”.