L’umile porta il sapore dei giorni
“S” come Sapienza. La sapienza, così come ci indica l’etimologia latina, rimanda al sapore delle cose ossia al gusto che permette di riconoscerle nella loro peculiarità, infatti ogni cosa è unica in quanto ha un suo sapore. Si cadrebbe, altrimenti, nella monotonia dell’indistinto, tutto apparirebbe uguale come il tempo senza un suo divenire.
L’umanità privata di sapienza perderebbe interesse, motivazione e desiderio, capacità di resistenza nella fatica, svanirebbe il pensiero e la visione. Non ci sarebbe più un orizzonte di senso. È quello che è successo quando parte dell’umanità ha deciso di fare della propria esistenza il tempo dell’autoaffermazione, in quel caso, rivalità e brama di conquista hanno preso il posto dell’amicizia e dell’accoglienza. Anche Dio è diventato nemico da cui difendersi e quando si ripudia la propria origine è allora che l’insipienza diventa massima e l’individuo finisce con il barcollare nel buio!
La sapienza, dunque, permette di cogliere l’essenziale procurando la visione unitaria di ciò che si osserva. Allo stesso modo per comprendere un testo abbiamo bisogno di conoscerne il contesto, o per capire qualcosa di una persona è necessario sapere della sua storia e dei luoghi in cui è vissuta.
Ci rendiamo conto, allora, che la sapienza non è data dal numero di nozioni e di conoscenze acquisite che, da sole, servirebbero solo a nutrire il proprio narcisismo, bensì è frutto dell’umiltà!
L’umile riconosce di non essere Dio, è consapevole della propria limitatezza e rimane aperto alla relazione e alla reciprocità. La sapienza, infatti, è aperta all’accoglienza e dispone alla gratitudine.
Il sapiente coglie l’esistenza come dono e, mantenendo la relazione con il Cielo, trova la via per discernere il quotidiano. Considera, cioè, quello che è davvero prezioso così come quando si purifica l’oro nel fuoco separandolo dagli altri metalli.
Il sapiente sa che per avere lettura di quel che accade attorno e in ciascuno di noi, è necessario spogliarsi del di più dell’avarizia e del gusto per la mormorazione o l’autocelebrazione.
Rivendicazione e rivalità confondono la sapienza che, piuttosto, permette la visione d’insieme aldilà del piccolo segmento. Dio guarda con sapienza tutto, secondo il suo amore che è l’unica cosa davvero eterna. Il male dell’uomo non corrisponde alla sua vera dignità ed è perciò che lo sguardo di Dio non si ferma ad esso, ciò significherebbe ridurre l’umano al suo peccato e a quel che passa.
Salomone chiederà a Dio non ricchezze o la morte dei suoi nemici e neppure una lunga vita, ma la saggezza nel governare e giudicare le cause. È sapiente in quanto coglie nel discernimento il bene da custodire e donare, la capacità di servire il popolo che gli è stato affidato.
La sapienza, allora, fa permanere nell’amore e dunque nel vero, nel bene e nel bello. Non si tratta di una condizione di purezza o santità ideale, ma è sapiente la persona che nutre la sua relazione con Dio e se ne prende cura quale priorità per la sua esistenza. È stando alla luce che è possibile riconoscere ogni cosa, altrimenti la vista non servirebbe a nulla.
Il sapiente vive da figlio ed è perciò che si rivolge al Padre che è nei Cieli. Non trova in se stesso le risposte ad ogni cosa ma scruta i segni, si lascia interpellare dalla vita e, se è il caso, attende rimanendo in ascolto. Ricerca il bene e una volta intuita la via da seguire si spende per essa fino a pagare in prima persona, proprio perchè non è la paura ma il gusto a guidare il sapiente.
Così fu la vita del vescovo Oscar Romero, assassinato a San Salvador il 24 giugno del 1980, il quale si lascio provocare dalla storia del popolo salvadoregno che scoprì schiavizzato dai latifondisti complici della dittatura. Ebbe il coraggio di cambiare prospettiva e denunciare la grave ingiustizia sociale dando voce ai senza voce. È così che la sapienza custodisce il Bene senza cadere nel compromesso o nel proprio interesse a discapito della verità.
La sapienza, in sintesi, è esperienza comunionale dove il sapore del tutto è dato dall’amore di Dio. Entrando in questa relazione ogni cosa viene trasformata:
l’onesto lavoro quotidiano, seppure nella fatica, diventa offerta consegnata al Cielo e non luogo di appropriazione; la famiglia e gli affetti più cari sono colti con gratitudine quale dono da custodire; le azioni e gli sguardi di ogni giorno sono espressi quale occasione per condividere e sostenere il prossimo che, così, ci rende umani.
Modello di somma sapienza è Maria la madre di Gesù. Lei non conobbe tutto secondo un criterio di scienza, ma ebbe l’intuizione del Bene che le veniva consegnato. Non rimase spettatrice ma si lasciò plasmare dal dono che aveva accolto e sebbene non avesse comprensione di quello che man mano accadeva serbò ogni cosa nel suo cuore, la custodì affinchè nel tempo potesse rivelarsi nella luce.
“S” come Sapienza dunque, come Sviluppo e come Sociale; come ripensare lo sviluppo attraverso il sociale, riconoscendo la necessità del terzo settore per il vero sviluppo nel territorio nazionale; come sapere stare nelle cose della vita senza fuggire fino a restituire ad ogni cosa il suo vero valore.