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Mediazione ai fini della conciliazione, Palermo, Psicologia della Religione, Ricerca di Dio

L’umanità al bivio

L’umanità al bivio. La storia personale è sempre chiamata alla scelta perché non è possibile tenere insieme differenti direzioni, ciò porterebbe alla lacerazione dell’animo. Spesso ci troviamo nella complessità del combattimento interiore, direbbe san Paolo: “io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio” (Rm 7, 19).

Abbiamo, dunque, bisogno di affezionarci alla via che permette di rimanere saldi nel cammino malgrado le intemperie della vita. Eppure assistiamo ad un’evidenzia che sa di paradosso, pare che fatichiamo ad imparare dalle esperienze e, sovente, torniamo a farci male. La storia di tutti i giorni ci mostra, infatti, quanto ci affezioniamo ai nostri sbagli e proprio ieri sera un giovane del nostro quartiere che vedevamo tutti i giorni per strada, è morto dopo avere assunto l’ennesima dose di crack che, questa volta, lo ha stroncato.

Non mi riferisco, però, solo a chi vive ai margini della nostra società ma a ciascuno di noi – e proprio per questo più responsabili – che ragioniamo con una sorta di perbenismo che vorrebbe legittimare il sentirci migliori degli altri.

La festa multietnica, in realtà, sovente è solo una tendenza radical chic che, poi, una volta tornati a casa  lascia emergere la paura dello straniero, e della diversità in genere, che si tollera con fatica. Basti pensare al linguaggio discriminatorio dei nostri giorni in cui si torna a parlare dell’immigrato, cioè di chi ha il colore della pelle o un tratto somatico diverso dal proprio, con dispregio, così come delle fasce di popolazione più fragili – i meno abbienti, gli anziani o i diversamente abili – come un peso da eliminare creando ghetti di isolamento, come gli attuali lager albanesi creati quale esperimento europeo!

La storia si ripete, così come quando credevamo di essere i giusti e tutto ad un tratto scoprivamo che il nostro Paese foraggiava con le armi guerre in varie parti del mondo. Mi riferisco al 1994 (è datato dunque si può dire apertamente) quando si scoprì che il motivo del fallimento della Valserra era dovuto al fatto che l’embargo aveva impedito la vendita delle mine antiuomo che la fabbrica italiana aveva prodotto per la vendita illegale all’Iraq. La nostra azienda era dunque responsabile di quello scenario di drammatiche mutilazioni in quella terra dove, beffa storica, poi mandavamo i medici per prendersi cura delle vittime delle esplosioni…

Rifletto su quanto abbiamo bisogno di liberarci dalle catene che ci mantengono in una direzione ciclica piuttosto che in una via evolutiva della nostra vita.

Intraprendere la direzione che custodisce l’integrità fragile che ci appartiene, è possibile solo perdendo tutto il resto e, dunque, scegliendo l’essenziale. Altrimenti si continuerebbe a cadere nell’ambivalenza delle direzioni, la stessa che porta ad inviare i militari armati per una missione di pace.

La pagina del Vangelo di questa domenica (Mc 10, 46-52), plasticamente, rivela cosa significhi uscire da simile doppiezza e mostra come rimettersi in cammino dopo la caduta che lascia inermi anche per un tempo prolungato.

La scena trova Gesù con i suoi discepoli in cammino da Gerico verso Gerusalemme. Gerico per la storia d’Israele costituisce la porta d’ingresso nella terra promessa. Il racconto biblico narra della caduta prodigiosa delle mura della città che viene espugnata e votata allo sterminio. Scene cruenti che mostrano la durezza di una conquista che non ammette diversità e possibilità di integrazione tanto veniva considerata blasfema perché contaminazione con il paganesimo.

La città sorge nell’area di depressione del Mar Morto a 250 metri sotto il livello del mare, la più bassa altitudine del pianeta. Probabilmente insieme a Damasco è la città abitata più antica del mondo. Anche dal punto geofisico quel luogo esprime la distanza dal Cielo come ad indicare che Gesù arriva lì per incontrare e trascinare in alto l’umanità tutta, nessuno escluso.

Il nome della città nella lingua ebraica significa “luna”, vive di luce riflessa e ora la Luce che è venuta nel mondo viene riconosciuta da un cieco. Interessante notare che nel Vangelo di Matteo (29, 30) i ciechi sono due e la tradizione attribuisce ai due fratelli, Giacomo e Giovanni, la loro identità, mentre indica nella figura di Pietro questo singolo cieco. L’associazione è dovuta alla loro cecità che pur seguendo il Maestro cercavano di impedirne la missione perché legati alla visione di grandezza e di vittoria.  

Non conosciamo il nome di questo cieco indicato come figlio di Timeo e cioè figlio dell’ “onore”. L’episodio manifesta l’itinerario dall’onore all’amore, dal potere al servire, e l’essere umano ha bisogno di coraggio per vivere questo passaggio. Si pensi al senso dell’onore che nella nostra cultura che è stato associato all’onorabile società mafiosa o alle lobby di potere.

Nel linguaggio biblico l’onore è riferito al “peso” e cioè a ciò che autenticamente esprime il valore di una persona. Ciò che è vero per un essere umano è solo l’amore perché tutto il condensato di superbia ed egocentrismo è una grande menzogna, un’illusione di onnipotenza che lascia a mani vuote chi la persegue. Quello che accade nel caso dell’ “onore” malavitoso che ogni giorno miete vittime attraverso il pizzo, l’usura o le droghe che contengo la promessa di morte.

Quando incontro una persona disperata a motivo degli usurai, a cui in modo sprovveduto si era rivolta, leggo nei suoi occhi le tracce della morte che gli hanno consegnato quanti con perversa astuzia e “dis-onore” gli si sono mostrati “amici”.

L’onore è un’altra storia e il peso di una persona si misura nella capacità di amare pagando a proprie spese se è necessario. Bartimeo ha il coraggio di gridare quando ode il passaggio di Gesù. Lui raccoglie il grido dell’umanità disperata che attende il sole per intraprendere una nuova strada. Penso, ad esempio, ai tanti che si trovano in detenzione con il desiderio di abbandonare definitivamente la vita di prima.

Lo chiama “Figlio di Davide” sintetizzando, con questa espressione, le aspettative politiche e nazionalistiche che Israele aveva nell’attesa messianica. Il restauratore del regno di Davide doveva ribaltare lo stato delle cose liberando Israele dai romani ma Gesù rivelerà un altro tipo di riscatto sulla croce, quello definitivo che restituisce luce e visione di vita a chi accetta di essere Suo discepolo.

Bartimeo, dunque, è chiamato a fare un ulteriore passaggio rispondendo alla Sua chiamata. Mentre quanti gli stanno attorno rimproverano il cieco – come fanno tutti i perbenisti come accade nei convegni politici in cui si falsa il dato di realtà a discapito di chi vive soffocato dai bisogni primari – Gesù si ferma e lo invita ad esprimere il suo desiderio.

Non chiede potere ma di tornare a vedere per mettersi in cammino e diventare Suo discepolo così come rivelerà il proseguo del racconto. Tornare a vedere perché già conosce la visione ma è bloccato, al pari di quando si vive in una condizione di peccato e si ha nostalgia della vera Luce.

Per divenire discepoli del Maestro abbiamo bisogno di uno sguardo rinnovato e capace di compassione e perdono, capace di gratuità e di fiducia nella fatica. Bartimeo lascia il mantello e cioè quanto costituiva la garanzia della sua vita – per Israele il mantello era inalienabile e anche il più povero ne aveva diritto – probabilmente in quel mantello stava anche il suo ruolo di mendicante ripiegato su se stesso. Ha il coraggio di lasciare dunque, di mostrarsi fragile e bisognoso della vera Luce per andare oltre.

Gesù risponde in modo lapidario: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Ci sono momenti della nostra storia personale in cui abbiamo bisogno di affidare tutto e consegnare con fiducia la nostra vita, è a quel punto che il Signore può agire. Il passaggio di salvezza, ossia la pasqua, avviene attraverso questa interazione dove Dio abbisogna della resa umana.

Proprio in questi giorni con l’enciclica Dilexit nos – Ci ha amati – papa Francesco invita la Comunità di popolo a rimanere in cammino abbeverandosi alla sorgente dell’amore. Il cuore che è sede della coscienza e della volontà, della vita psichica oltre che degli affetti, abbisogna della risonanza della Parola di Dio per generare interiorità. Senza vita interiore non è possibile muoversi nell’amore e per amore, i veri cambiamenti sono questione del cuore.

Se l’amore ritrova il primato sul fare allora si potrà seminare speranza in questo mondo, potremo coltivare la comunione che ci fa rispettare ogni cosa per la sua importanza e, in questa missione, potremo scoprire l’intimo legame con il Cielo. Torna alla mente un aneddoto di Galileo Galilei:  “Le cose sono unite da legami invisibili: non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella”.