L’osare della fede
Da una settimana è iniziato l’Avvento e cioè il tempo liturgico che fa memoria di ciò che si attende e, dunque, opportunità di verifica del cammino di vita che stiamo percorrendo. Dalla meta che si persegue, infatti, dipenderà l’organizzazione dei propri giorni e a ciascuno è dato di essere sempre più consapevole della direzione intrapresa. Nelle fatiche del quotidiano o di fronte a particolari eventi destabilizzanti, infatti, rischiamo di smarrire la strada se mancassimo di consapevolezza.
L’Avvento, dunque, è opportunità per centrarsi e, casomai, uscire dal turbinio emotivo o di ragionamenti che ridurrebbe l’esistenza ad un avvitamento attorno a se stessi. La visione egocentrata dell’essere umano, piuttosto, viene visitata dallo sguardo di Dio che mai cessa di amare.
Con grande pregiudizio la cultura contemporanea ha distorto il senso delle cose promettendo che la felicità si possa trovare nell’uso del potere e nell’onnipotenza dell’ego che procura successo e ricchezze. Da questa illusoria realizzazione deriva l’avarizia e l’inimicizia relazionale assai diffuse ai nostri giorni.
La festa dell’Immacolata concezione che celebriamo oggi viene ad approfondire il senso dell’Avvento che evoca l’incarnazione del Messia resa possibile dal “sì” di Maria di Nazareth. Lei è chiamata “piena di grazia” e cioè custodita dalla ferita del peccato, dunque, in relazione con il Creatore senza nascondimento alcuno.
Il peccato, infatti, ha introdotto l’esperienza della paura di fronte a Dio dopo avere messo in discussione il Suo amore. Maria non porta quella ferita e decide liberamente di non sottrarsi alla proposta del Cielo e, così, diventa segno del “tutto è possibile a Dio”.
L’amore si muove sempre secondo la grammatica della libertà, finanche l’incarnazione del Verbo è sottoposta all’adesione della creatura. Non una costrizione ma l’attesa di Dio che desidera consegnare la Sua vita all’umanità perduta e questo desiderio incontra la fede di una ragazza che consegna il suo progetto di vita al Cielo: si tratta di un reciproco consegnarsi così come è dell’amore.
Maria accoglie la proposta riconoscendosi “serva” di fronte al Signore e, così, restituisce verità al rapporto con il Cielo. Il delirio di onnipotenza a cui avevano aderito Adamo ed Eva, dunque, viene sanato dalla veridicità della risposta di quella giovane donna di Nazareth.
Lei esce dalla solitudine dell’autoreferenzialità propria di chi rifiuta il rapporto con il Cielo ed ha chiaro che la sua esistenza non potrà realizzarsi priva della relazione con Dio.
Lui irrompe nella sua storia attraverso le parole dell’angelo a cui lei reagisce rimanendone turbata – il Vangelo che descrive la risonanza interiore di Maria – cioè non dando per scontato quando le veniva chiesto. Il travaglio appartiene sempre all’esperienza del credente che cerca di orientarsi di fronte all’incertezza o, meglio, cerca di trovare coordinate che possano fornirgli un orizzonte alla fede.
La raccomandazione a “non temere” è la rassicurazione che Dio dà alle paure di ogni credente perché la paura è la risposta alternativa alla fede. Lasciarsi dominare dalla paura equivarrebbe a cercare tane difensive per evitare il pericolo della strada e, piuttosto, il cristiano è invitato a mettersi in cammino mantenendo viva la relazione con il Cielo e, dunque, senza dare potere alle minacce di turno.
Ieri abbiamo ricordato la figura di Leonardo Vitale ucciso dalla mafia quarant’anni fa. Lui che aveva un trascorso all’interno della organizzazione criminale aveva deciso di collaborare con la giustizia dopo la sua conversione: la scoperta di Cristo era stata così disorientante da fargli cambiare il criterio di lettura della sua stessa vita. Non aveva più paura delle minacce subite perché la priorità era diventata “il paradiso” e cioè la custodia della sua relazione con Dio che si traduceva nel prendere le distanze denunciando l’apparato malavitoso.
La sua trasformazione fu così radicale da non essere creduto e giudicato insano di mente ma, di fatto, Leonardo non rispondeva più alle logiche di potere di questo mondo e non aveva più paura di sottrarsi ai dettami di quanti lo minacciavano di morte.
Maria pone degli interrogativi perché si confronta col dato di realtà di non conoscere uomo, non si chiude nella ferrea logica del calcolo o della possibilità umana ma rimane in ascolto del Cielo. L’angelo le risponde “nulla è impossibile a Dio” e poco prima le porta l’esempio della parente Elisabetta la quale, di fatto, a motivo della sua età non poteva più concepire.
Il racconto, allora, rivela l’agire di Dio che dona vita lì dove c’è impossibilità a procreare, in modo analogo chi cade nel peccato, un cieco, o un morto non potrebbe tornare vedere la luce del Cielo senza il dono d’amore di Dio.
Maria esce dal calcolo lineare, l’esperienza della fede fa un salto di qualità ed è per questo che si diventa capaci di perdono malgrado le percosse, di gratuita aldilà dell’avarizia altrui, di dono della vita per rispondere alla logica di morte. L’esperienza della Pasqua risponde a tale logica e Maria per prima inizia a sperimentare questa novità che arriverà all’abbandono più grande quando ai piedi della croce continuerà a sperare.
La risposta “eccomi”, dunque, mostra la disponibilità a questa chiamata, lei accoglie la parola di Dio riconoscendosi “serva del Signore”. Ciascuno di noi serve qualcosa o qualcuno e tutti ci spendiamo per una causa o per quello che amiamo. È illusoria la rivendicazione di chi si sente libero da tutto e da tutti, piuttosto la differenza sta nella scelta più o meno consapevole di ciò che serviamo.
Quando Francesco d’Assisi inverte la direzione della sua vita risponde all’interrogativo posto da Dio che lo invitava a servire il padrone e non il servo. È così che Francesco inizierà ad adoperarsi per i lebbrosi superando l’evitamento che lo aveva contraddistinto per preservarsi.
Chi risponde alla chiamata del Signore, dunque, entra nella prospettiva del consumarsi per amore perché tutto ha già ricevuto dal Cielo. Con questo atteggiamento Maria intraprenderà la missione che Dio le ha affidato e non si sottrarrà dalle fatiche del cammino. Piuttosto serberà tutte quelle cose nel suo cuore pur non comprendendole appieno ma continuando a fidarsi. Gli accadimenti vengono custoditi nel suo cuore e solo alla fine, dopo la Pasqua, ne potrà avere una lettura integrale.
È così che Maria rimane riferimento in questo cammino d’Avvento, il suo sguardo ci permette di attraversare e rileggere il mistero della vita.