La parola e il volto
La parola incarnata ha un grande potere, veicola cultura e visioni di vita, è capace di guarire così come di distruggere. Eppure si è diffusa una mentalità che vorrebbe trasformare le situazioni attraverso le chiacchere o, comunque, ritenere che è sufficiente un bel discorso o un dettagliato programma politico per risolvere i problemi di un paese.
La credibilità della parola abbisogna della testimonianza di vita, senza coerenza mancherebbe di verità riducendosi a mera astrazione o ad illusione anestetizzante ma incapace di fattivo cambiamento. I processi di trasformazione, piuttosto, avvengono attraverso la storia ordinaria di chi mantiene la direzione, malgrado le avversità e resistenze, consumandosi in un quotidiano che, man mano, matura riflessione e lettura degli accadimenti.
La Comunità di Danisinni, nel tempo, ha fatto di questa premessa la condizione necessaria per partecipare al percorso territoriale e senza questa visione non sarebbero nati gli spazi condivisi e le relative azioni di promozione umana. Proprio nei prossimi giorni si tornerà alla pulizia del giardino della piazza e a breve inizieranno i lavori di ristrutturazione dell’Asilo nido chiuso dal 2007. I frutti, dunque, sono l’indice della parola autentica da non fraintendere con le opere di un momento, magari appariscenti, che rimangono incapaci di rigenerare e restituire vita.
La pagina del Vangelo di questa domenica è criterio per discernere la postura esistenziale: un discepolo guardando Gesù gli chiede di insegnargli a pregare, osservando la relazione che Lui ha con il Padre e le opere di misericordia che ne derivano, avverte il desiderio di imparare. Ecco la parola che è preceduta dalla vita, la testimonianza che conquista e ingenera desiderio di riscatto.
Interessante notare che la preghiera ora viene collocata in uno spazio relazionale e non più esclusivamente nel tempio, non è più il luogo o ruolo formale a garantire la veridicità delle parole. Gesù aveva ammonito di non pregare a forza di parole e quindi di cessare con una modalità magica che era volta ad ottenere risposte piegando Dio alle proprie esigenze. Diversamente è la relazione filiale la base su cui scorre la preghiera del “Padre nostro” ed è il rapporto di fiducia a reggere la preghiera.
L’interlocutore comprende, ora, che la relazione con il Cielo non può essere affidata allo spontaneismo emotivo o comunque alla emergenzialità del momento. Sarebbe illusorio pensare di essere cristiani quando la preghiera viene assunta quale ultima soluzione perché si è “disperati” di fronte alla prove della vita.
I dialoghi all’interno del Vangelo restituiscono priorità alla vita filiale e alla preghiera che ne scaturisce quale necessità per fronteggiare il quotidiano.
Tutto cambia quando la storia personale è vissuta da figli ed è così che viene santificato il nome del Padre perché, senza la testimonianza dei figli, non si potrebbe conoscere il cuore del Padre. Simile prospettiva non può essere trasmessa attraverso insegnamenti teorici ma solo per mezzo della vita, l’unica capace di rivelare a chi si appartiene veramente. Diversamente, quanti si riconoscono figli del potente di turno mostrano che l’appartenenza alla lobby di potere è la garanzia della loro esistenza!
Per entrare nella vita vera, dunque, è necessario smettere di nutrire la propria volontà intesa come egocentrismo narcisistico. Chi assume questo atteggiamento continua a coltivare il culto di se stesso e non cerca di stare di fronte all’altro per accoglierlo. La volontà del Padre risponde sempre all’amore e ciò è possibile solo quando si abbandona l’orgoglio e la centralità di se stessi.
La preghiera, dunque, rivela che ciascuno è risposta all’amore ricevuto dal Padre, una risposta totalizzante che non lascia aree grigie e rese inaccessibili alla luce del Cielo. Simile ambiguità creerebbe nascondimento e menzogna facendo perdere la verità sul volto del Padre e trasformerebbe i rapporti umani in lotte di dominio e continua competizione.
Chi si affida alla volontà del Padre, piuttosto, sa che il male non potrà travolgerlo e che le prove del quotidiano si trasformeranno in occasioni per approfondire l’amore e la relazione. La preghiera apre ai rapporti fraterni, l’altro non è più percepito come un estraneo da cui difendersi ma come il prossimo verso cui si è debitori.
Si comprende, allora, che la vita di ciascuno deve uscire dall’autoreferenzialità e il “pane quotidiano” è dono e non conquista, regalo da cui scaturisce la gratitudine. Quando l’individuo si nutre del cibo conquistato attraverso il proprio merito, trasforma l’esistenza in una brama insaziabile sulla quale ergersi al di sopra degli altri. Il cibo che viene dal Cielo, invece, dona il gusto autentico per ogni cosa e svela ciò che anziché nutrire può arrivare ad uccidere.
La Comunità di Danisinni persegue un codice etico proprio per preservare la visione delle azioni nel territorio secondo quest’orizzonte filiale e così garantire lo spirito di fraternità che vorrebbe animare la direzione del percorso. Senza questa prospettiva a nulla varrebbero la Fattoria comunitaria, il Borgo sociale, il Cortile del buon Samaritano o il prossimo Villaggio circolare, sarebbero spazi vuoti privi di risonanza umana. Anche la piazza e l’imminente ristrutturazione dell’Asilo nido costituiscono un’opportunità per tessere rinnovate trame di umanità capaci del bene comune e della reciproca cura.
Rimaniamo, dunque, in ascolto del quotidiano attraversato dai volti della nostra gente: è il luogo in cui Dio manifesta la sua parola e il suo messaggio di pace per l’umanità intera.