La comunione che insegna l’attesa
L’umano ha nostalgia dell’amore, abbiamo tutti bisogno di tenerezza eppure ci esprimiamo con gesti di affermazione e di dominio sull’altro. La paura della precarietà del vivere o il timore di perdere la persona amata trasforma la nostra esistenza in una brama di possessi nutrendo l’illusione di un eterno appagamento a garanzia della vita.
Simile esistenza, così organizzata, manifesta la passione triste dell’individualismo e lo svuotamento dell’umano sentire. Il vuoto che ne consegue impoverisce fino a frammentare la persona divisa nelle tante maschere di circostanza.
La Pasqua che ci apprestiamo a celebrare fa memoria della liberazione da questo stato di schiavitù fino alla piena immersione nella relazione d’amore.
Non è solo la memoria del passaggio dalla schiavitù d’Egitto alla terra promessa come è tradizione per il popolo ebraico, ma è l’incontro con una persona che ci porta oltre la morte, oltre ogni possibile morte luogo di solitudine infinita.
L’equivoco, altrimenti, sarebbe quello di rimanere ancorati ad una Pasqua che riguarda la terra, la terra da difendere e rivendicare, così come accade oggi per l’infinita guerra in Palestina ma anche per tutte le altre guerre sparse nel mondo. Schiavitù è continuare a ragionare in termini di possesso e di competizione fino a ricorrere al conflitto per rivendicare i propri pretesi diritti.
La Pasqua, piuttosto, è immersione nel cammino d’amore dove Gesù ci porta dinanzi al Padre aprendoci alla relazione con il Cielo ma da figli.
Non saremo capaci di celebrare la Pasqua fino a quando lo sguardo del Padre sarà inteso come il frutto delle nostre bravure e meriti, non riconosceremo il Suo volto fino a quando rimarremo chini sulle nostre opere di successo. Lui, invece, si china sui piccoli e teneramente si prende cura dei fragili, ed è da questa esperienza d’amore che scaturisce la Pasqua che ci fa andare oltre ogni ferita o precarietà della vita.
In questo giovedì in cui iniziamo il triduo pasquale celebriamo la Cena del Signore in cui ci viene data la consegna “fate questo in memoria di me”. Ci viene offerta la strada per vivere continuamente la pienezza del dono, perché l’evangelista introduce quella cena con l’espressione “li amò sino alla fine”.
Si parla di un’ora che è stata preparata per anni, i discepoli non sono pronti ma è compiuto il dono per loro. È il regalo senza fine che già il Maestro aveva tratteggiato guardando il dono della povera vedova la quale aveva osato gettare tutto quello che aveva nel tesoro del tempio manifestando la sua fiducia nel Signore. O, ancora, è il dono senza riserve espresso nel gesto di Maria la quale aveva cosparso i piedi di Gesù con il puro nardo senza tenere nulla per sé, sapendo che quel profumo esprimeva l’amore che in quanto tale non poteva essere contenuto.
Ci sono gesti che scandalizzano perché destabilizzano la logica del preservarsi. Sono i gesti che rivelano la bellezza dell’amore come nell’ultima cena quando Gesù lava i piedi ai discepoli mostrando che l’amore serve senza chiedere un tornaconto. Di lì a poco annuncerà il tradimento ma non per accusare Giuda ma, piuttosto, per sottolineare che l’amore non accetta un prezzo e non cambia a seconda della convenienza. Quando lo invita ad andare per compiere quanto ha deciso è come se gli rivelasse che non lo abbandonerà, la Sua amicizia è per sempre malgrado ogni possibile tradimento.
La missione del Figlio di Dio è quella di rendere partecipi della Sua vita ed è dinanzi al Padre che si compie ogni Eucarestia. Anche noi ogni volta che celebriamo la Pasqua domenicale offriamo nella materia del pane e del vino la nostra esistenza, quello che ci è più caro, fidandoci di quello che ci sarà donato gratuitamente dal Cielo.
La nostra offerta presentata al Padre diventa “questo è il mio Corpo offerto per voi”. E’ un mistero grande la vita che ci viene consegnata e, a quel punto, è l’intimità con il Cielo quella che consumiamo spendendoci nel quotidiano. Il dono ricevuto viene custodito dalla piena condivisione della propria esistenza, senza tenere nulla per sé…
Entriamo nel tempo dell’attesa, l’ascolto che ci insegna a vedere oltre le apparenze.