Il Natale secondo Danisinni
Trascorso il tempo dell’attesa ci immergiamo nella notte della nascita. Senza attesa, infatti, non potrebbe esserci l’accoglienza necessaria e, dunque, non sarebbe possibile riconoscere la bellezza del dono ricevuto.
L’impulso all’immediato ci ha strappato il gusto dell’incontro e ha spento il desiderio che sostiene la mancanza nutrendo di senso i giorni dell’attesa.
L’umile mangiatoia quale spazio d’accoglienza attorno al quale si organizza tutto lo scenario del presepe, rimasta vuota per tutto il tempo di Avvento, rende plasticamente questo percorso che abbisogna di contemplare la mancanza per prepararsi all’incontro.
L’accoglienza da parte nostra è preceduta dalla fiducia che Dio ripone in noi. È Lui che si è consegnato attendendo il “si” di Maria e, ora, totalmente vulnerabile si affida alle sue cure e a quelle di Giuseppe. Dio si è fatto totalmente piccolo affidandosi alla loro tenerezza.
Oggi, dunque, celebriamo il Natale che ritrae l’immagine di una famiglia ove è presente l’irriconoscibile Dio, attorniata da gente umile che si fa prossima nell’ammirare quella nascita che accade al di fuori della casa, in quel contesto preposto agli animali dove Maria è collocata forse perché, in quella condizione, sarebbe stata fonte di contaminazione secondo il rituale ebraico.
L’accoglienza è sempre contagiosa perché chiede di compromettersi con chi trova cittadinanza nel proprio spazio vitale, e questo vale anche per la causa dell’altro come quando si difendono i diritti e, così, si contrastano le ingiustizie. Tema molto attuale ai nostri giorni in cui viene negato il diritto d’asilo a profughi che cercano di sopravvivere sottraendosi alla schiavitù e alla morte di stenti.
L’accoglienza piuttosto, secondo i profili internazionali, viene subordinata alla ricchezza o al vantaggio procurato e lo straniero si trasforma, di volta in volta, in amico o nemico a seconda dei conti fatti per accrescere i propri proventi e non per il valore intrinseco che porta la persona.
Come duemila anni fa ancora oggi il Natale viene celebrato in un mondo che risponde a questa cornice di convenienza e l’accadere di Dio nella storia dell’umanità continua ad essere dichiarato scomodo perché “costoso”.
Accogliere, ancora, significherebbe riconoscere il valore profondo dell’esistenza di ciascuno perché Dio si è fatto simile ad ogni essere umano per amarlo in pienezza, tanto che Gesù consegna a tutti la dignità di figli del Padre suo. Gesù elimina ogni sorta di distanza ed inimicizia e ciò si traduce in pratiche di solidarietà, d’amicizia e di pace, ma tutto questo continua ad avere un costo perché significherebbe ridistribuire i beni in questo mondo, cessare di fabbricare armi, smetterla di sfruttare la manodopera nei paesi in via di sviluppo per sostenere i proventi delle multinazionali. Significherebbe aprirsi ad un’economia di comunione, dove la vita dei poveri avrebbe lo stesso valore di chi è ricco e considerato potente in questo mondo…
La mentalità comune, piuttosto, ha dato cittadinanza al Natale ma solo dopo averlo svuotato di ogni connotazione religiosa consegnandolo all’estetica dei consumi e alla voracità fino allo sfinimento. Il prodotto finale, in quel caso, si riduce a impeccabili foto da postare per gli apprezzamenti dei rispettivi follower.
Ciò nonostante la stella continua a sorgere nei luoghi più bui della nostra umanità, in quelle periferie esistenziali dove non ci si aspetterebbe la presenza del Cielo.
Il racconto del Natale continua a rivelare posti inediti in cui Dio cerca ospitalità. Allora fu la povera coppia di Nazaret ad accoglierlo, poi i pastori e così i personaggi che, man mano, si dispiegano nei Vangeli facendosi trovare dal Messia venuto a trarre dalle tenebre per donare la sua luce.
Lui è il “Salvatore venuto per voi” e quindi venuto a consumarsi per amore. La mangiatoia e poi le fasce in cui è avvolto, prefigurarono il suo farsi pane spezzato per nutrire l’umanità nuova. Da allora il cambiamento offerto ad ogni essere umano non è più il frutto di un’opera di persuasione intellettuale ma del consegnarsi che Dio fa di sé sino alla morte per amore.
Oggi abbiamo bisogno di lasciare le nostre resistenze per accogliere questa nascita. Non è possibile separare il Signore Figlio di Dio onnipotente dal bambino fragile che abbisogna di cure e neppure la gloria dei Cieli dalla povertà di una mangiatoia.
Lascia nascere il Salvatore chi è disposto a trasformare il potere in servizio, l’offesa in perdono, la vittoria nell’amore gratuito. Il Cielo attende la risposta dell’umanità per potersi consegnare ancora una volta e, così, rinnovare la faccia della terra.
Ogni volta che questo accade ecco che la Luce torna a splendere qui in terra attraverso la storia personale e comunitaria di un popolo che rimane in cammino. Non si tratta di self control o del frutto di pratiche meditative ma di nutrire la relazione con il Padre vivendo il quotidiano da figli di Dio. Prospettiva assurda per chi ha chiuso la mente e il cuore alla fede, per chi rimane ego-centrato pensando di trovare nelle proprie conquiste il senso dell’esistenza. Ma per il credente è una rivoluzione esistenziale, cambiano le priorità e la chiave di lettura degli accadimenti.
Oggi la storia abbisogna di una rinnovata accoglienza e di un dono gratuito chiesto a ciascuno. Chiediamoci: quale prezzo sono disposto a rischiare?