Intus-legere, leggere dentro
“I” come Intelletto. “Fatti furbo”, “tu si che fai funzionare il cervello”, “sei una scheggia di intelligenza, continui a fare soldi”. Espressioni come queste dicono di come l’intelligenza umana renda capaci di destreggiarsi in questo mondo cogliendo le opportunità concrete fino a sfruttarle al massimo e averne un utile!
Questo potrebbe bastare qualora l’essere umano fosse riconducibile ad un capitalizzatore di affari, cioè fatto per portare frutti tangibili: conti in banca, beni immobili, attestati di gradimento collettivo, brillante nell’arte dell’arrangiarsi. Una simile considerazione, però, farebbe dell’uomo che coltiva valori, ideali, passioni, sogni, una persona poco intelligente. Dunque c’è da chiedersi se l’intelletto è davvero così riducibile o se cela una capacità altra e ben più ampia.
È evidente per tutti che l’esistenza personale è avvolta nel mistero, puoi comprenderla solo in parte e sarebbe sciocco pretendere di avere, oltretutto da soli, la comprensione di ogni cosa. Abbiamo bisogno della relazione con l’altro per vedere, decentrarci, e ragionare sulle cose e, al contempo, è necessaria una luce che permetta di vedere oltre. Diversamente l’umano finirebbe con l’indagare dentro una cisterna senza risalire alla sorgente che la alimenta e, così, cadendo nel frainteso scientifico che la cisterna debba spiegare ogni cosa!
San Paolo invita la Comunità a non conformarsi alla mentalità di questo mondo e piuttosto a rinnovarsi cercando un nuovo modo di pensare per discernere la volontà di Dio. Ci viene detto, allora, che c’è un modo differente di intere, una capacità di non fermarsi al primo acchito e di andare oltre, fino a intus-legere e cioè leggere dentro. Non nel senso analitico o psicologico dei nostri tempi, come se tutto l’umano fosse il frutto di una lettura riconducibile ad accadimenti, relazioni o modi di percepire. C’è un aspetto che sfugge ad ogni tipo di linearità e che permette di scrutare quel che appartiene al Cielo.
Per tanto tempo l’umanità ha cercato di padroneggiare la conoscenza di Dio riducendola al proprio raziocinio, e la religione è rimasta una mera proiezione delle aspettative umane creando perfette idealizzazioni di un dio molto distante. O, ancora, ha prodotto un bisogno di riscatto tale da trasformare la fede in una continua autoaffermazione dell’essere umano che ha voluto dimostrare la propria grandezza in cielo così come in terra.
E’ arrivato il momento di ammettere una conoscenza ben differente che procede solo per immersione così come nelle giornate estive in cui ci si tuffa dalle imbarcazioni per esplorare i fondali marini. Non si può rimanere spettatori, dunque, ma è necessario contaminarsi, lasciarsi portare, pagare il prezzo dello smascheramento perchè senza ammettere la propria fragilità non potrebbe esserci spazio per un Dio che si è reso inerme per consegnarsi al genere umano.
Negli eventi della storia si rivela il Cielo e questo è incomprensibile se non ci si apre al dono dell’intelletto. Non che il male trovi una spiegazione e neppure la violenza, ma l’intelletto scorge che è possibile mantenere il rapporto con Dio che rimane a tessere la sua storia di alleanza con l’essere umano, seppure ci si trovi nella necessità di una restrizione dovuta ad una pandemia, nel dramma di una guerra o feriti dalle molteplici ingiustizie sociali.
È così che l’intelletto ci aiuta a leggere gravi accadimenti che hanno scosso la nostra terra come, ad esempio la strage di Capaci o quella di via D’Amelio nel ’92, in cui persero la vita Falcone e Borsellino insieme ai loro compagni di missione o quando, l’anno successivo, don Pino Puglisi fu assassinato per vile mano mafiosa. Questi sono eventi che con certezza sono contrari alla volontà di Dio ma, al contempo, ci dicono come si affronta la vita facendo la volontà di Dio e cioè rimanendo a servire e custodire il Bene, la Giustizia, la Bellezza, sino alla fine.
L’intelletto, dunque, dispone ad un nuovo punto di vista, quello dell’altro, cogliendo il fine di ogni cosa. Quando si rimane centrati su se stessi è parecchio difficile comprendere questo, in quanto l’unico criterio assunto è la propria convenienza intesa quale autoreferenzialità.
L’intelletto, piuttosto, è libero e rimane a scrutare in profondità quel che appare, lasciandosi interpellare e provocare verso una scelta di senso.
Per un cristiano ciò equivale a scoprirsi figlio del Padre e dunque l’intelligenza sarà frutto di un incessante dialogo con il Cielo. Ricordiamo come al mattino di Pasqua due discepoli, lasciandosi alle spalle Gerusalemme, fuggirono verso Emmaus continuando a buttarsi addosso discorsi di morte, tanto era delusa la loro esistenza. Il Maestro che loro avevano seguito era finito in Croce e, pertanto, le loro aspettative erano crollate. Nutrivano pensieri tristi perchè la loro intelligenza si era chiusa alle aspettative individuali ma, di fatto, la storia li aveva di gran lunga superate.
Quando iniziano a raccontare i loro accadimenti al nuovo compagno di viaggio, che poi scopriranno essere Gesù, il loro racconto si trasformerà. Se la narrazione della propria esistenza è consegnata ad un altro ecco che è possibile averne intelligenza nuova, e non perchè si è dipendenti da quello che l’altro dice ma perchè a nessuno è dato di rimanere centrato in se stesso per capire. Gesù spezzerà il Pane ed è allora che i loro occhi si apriranno.
“I” come intelletto, come Immaginare qualcosa che tradisce le aspettative fino a dare nuova meraviglia. Tornano alla mente le parole del magistrato Giovanni Falcone mentre si rivolgeva alla nostra Palermo: “A questa Città vorrei dire: gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.