Chi ama vive per sempre
Ad un anno di distanza oggi torno a scrivere perché non celebriamo la tua mancanza, che rimane costante ogni giorno, ma celebriamo la memoria e il dono della tua presenza e cioè di quello che rimane di te caro papà.
La testimonianza si approfondisce nel tempo e il ricordo nutrito dall’amore diventa parte del cuore e luce nel quotidiano. È vero che siamo nati per non morire mai e la nostra vita è un cammino senza fine perché giunge ad una relazione nuova che in Cielo sarà colma per tutti ma, nel mentre, porta già il sapore dell’amore e questo non si estingue mai.
Mi sorprende ricordare come hai mantenuto fino a quegli ultimi giorni, anche quelli in cui temevi che fosse giunta l’ora, l’ottimismo e la generosità che ti ha sempre contraddistinto. Lo facevi, forse, per infondere coraggio a noi o, comunque, per esorcizzare la commozione che ci prendeva perché quando si ama non ci si vorrebbe mai lasciare.
La memoria dei tuoi ottantasette anni è segnata dalla gratitudine al Cielo perché hai risposto al dono della vita con un si quotidiano fedele fino all’ultimo senza mai tirarti indietro, come dicevi sempre: “mai arrendersi, Gesù avanti e Guido appresso”. E, oggi, comprendo bene che chi segue il Signore va verso l’essenziale: mentre l’avaro teme di perdere qualcosa andando avanti, e perciò vive come parcheggiato, chi ama va oltre e tiene solo ciò che è importante senza angustiarsi per ciò che appare e non esita a consumarsi per amore.
Di battaglie ne hai affrontate molte e anche nei tempi più difficili, in cui ti rendevi conto che portare avanti la numerosa famiglia significava fare i conti con un’economia modesta, ecco che continuavi a sperare e a mantenere salda la fiducia. Questo è un grande insegnamento, non ti ho visto mai disperare ma cercare una soluzione ad ogni cosa anche quando pareva impossibile.
Oggi mi chiedo dove trovavi tanta forza e so che era frutto dell’amore, l’amore per la tua famiglia che, però, non ti ha visto chiudere in una sorta di indifferenza per l’altro ma sei rimasto sempre attento a chi poteva essere nel bisogno. In questo hai avuto un grande senso di umanità, riducendo la remunerazione per il tuo lavoro se era il caso perché sapientemente comprendevi lo stato di necessità di chi ti stava di fronte. Hai attraversato i decenni adattandoti ai cambiamenti culturali, rimanendo sempre interessato e curioso rispetto al pensiero sociale e agli accadimenti nel mondo. Avevi i tuoi parametri valoriali e questi ti permettevano di discernere e valutare la bontà delle cose, non entravi nel giudizio ma sapevi distanziarti se un qualcosa non corrispondeva alla tua visione e magari venivi fuori con una delle tue mimiche espressioni che dicevano perplessità o dissenso ma, comunque, rimanevi rispettoso. Diversamente ti vedevo “infuocare”, come dicevi tu, quando anche per strada coglievi qualche sopruso in particolare fatto ad una donna o ad un anziano, eri pronto pure a scendere dall’auto per discutere col tipo che cercava di prevaricare sul debole, non tolleravi le ingiustizie che procuravano sofferenza ai piccoli.
Conoscevi bene la nostra terra, in ogni dove trovavamo tuoi amici, persone che con affetto mi raccontavano di te, della tua gentilezza o dell’aiuto che avevi loro prestato, capace di intrattenere relazioni con tutti, dal professionista al più umile lavoratore chiunque con te si sentiva a suo agio e dialogavi anche per ore se era il caso. Se alla conversazione si aggiungeva anche una buona mensa ecco che allora esprimevi il massimo, da buongustaio facevi onore alla tavola e anche lì prima di prendere la tua doppia razione invitavi tutti a fare altrettanto, come a legittimare il tuo ritornare al piatto precedente.
Con la mamma nei tanti anni di vita trascorsi insieme avevate un’intesa giocosa, una conoscenza che andava oltre le parole e le richieste. Già al mattino iniziavi con il rito del caffè con la tazzina rigorosamente in equilibrio sopra la moka, era uno di quegli arcani misteri di cui non avevo comprensione e abilità, pronta ad essere tirata giù quasi incandescente quando il caffè era già pronto. Poi il riordino dei tuoi documenti e l’uscire fuori per andare a lavorare. Guidare l’auto per te era il segno della libertà, l’hai fatto sino alla fine e ti saresti sentito in gabbia se così non fosse stato. Di questa necessità ne hai fatto un lavoro come a desiderare trasmettere agli altri il senso di tale autonomia, il tuo lavoro era una passione e pareva ti divertisse farlo malgrado i sacrifici e il ritmo infaticabile.
La domenica riuscivi a fermarti per dedicare il tempo alla famiglia e, da piccoli, quando si poteva uscire tutti insieme era per noi figli una grande gioia perché potevamo averti presente a mare o per un picnic in montagna oppure alle giostre. Ti inventavi delle escursioni originali, ora ammirare il panorama da San Martino delle Scale e giocare ad individuare la nostra casa vista dall’alto, ora per vedere atterrare gli aerei nei pressi dell’aeroporto o, ancora, per contemplare le stelle nel buio della notte quando ancora in campagna non avevamo la corrente elettrica e si usava la lampada attaccata alla batteria della Fiat 1100.
Non ci hai insegnato ad essere nostalgici ma entusiasti della vita, stando nel quotidiano senza voltarci indietro. Dagli errori si apprende, “nessuno è perfetto” ripetevi e questo ci dava il senso di umanità che sa considerare la fragilità propria del nostro cammino senza idealizzazioni ma accettando il limite del quotidiano. Non era un ottimismo ingenuo il tuo, ma un sapere che siamo di passaggio e cercavi di portare con te l’essenziale, la comunione, affermando che “se ci apprechiamo a tutto non c’arriviamo più!”.
Spesso mi sorprendeva trovarvi in assemblea durante la Celebrazione eucaristica, all’improvviso scorgevo il tuo sguardo attento e immerso nella Messa, orgoglioso di esserci. Con quello sguardo ci hai seguito per tanti anni, a distanza vedevi se in bici o in moto eravamo spericolati o chi frequentavamo e al momento opportuno intervenivi, se era il caso, dicendo la tua. Lo sguardo di chi ti prende sul serio, ti incoraggia o ti ammonisce indicando il cammino.
Hai amato sino alla fine e gli ultimi giorni tornavi a chiedere di tutti chiamandoci per nome. Partivi dai tuoi nipoti, da Simone e Matteo, Alessia e Leandra, per arrivare a Rosi, Anna, Francesco, Fabio, Lorenzo, Eliana, Ezio, tua sorella Lidia, la mamma. Ci invitavi a non preoccuparci e dall’ospedale al telefono ci dicevi di avere trovato degli amici che si stavano prendendo cura di te. Quando hai capito, poche ore prima di andare, dopo avermi ricordato che il funerale sarebbe stato organizzato dalla società Guglielmo, stringendomi le mani hai salutato con un semplice: “salutami tutti”. Papà ci hai testimoniato come muore un galantuomo, come vive un figlio di Dio.