Impariamo a custodire la vita
La Comunità di Danisinni insieme alle parrocchie della Zisa promuove uno spazio di riflessione a partire dal basso, da chi sta per strada e, ogni giorno, assiste con i propri occhi allo sfacelo di giovanissimi e adulti che perdono la vita perché una dose di cocaina era stata tagliata male da criminali che, per fare più soldi aumentandone il peso, non avevano esitato a mischiarla non solo con cemento, talco o zucchero, ma anche con anfetamine per amplificare la portata eccitatoria o, ancora, con sostanze tossiche come la stricnina, veleno per topi, o antiparassitari e così ottenere ulteriori effetti allucinogeni.
Nella nostra città il collasso cardiaco, procurato dal consumo di droghe, per molti si è rivelato fatale, così come i danni celebrali irreparabili in tante persone tossicodipendenti ridotte ad una profonda alienazione dovendo, poi, assumere significative dosi di psicofarmaci per reggersi in piedi.
Il crack, altra sostanza ricavata dai processi chimici della cocaina, ad esempio, arriva a provocare stati paranoici, psicosi e totale perdita di contatto con la realtà e molti casi di efferata violenza riscontrati nell’ultimo anno sono dovuti a questa assunzione che, nell’arco di poco tempo, fa perdere ogni sorta di controllo fino a portare alla morte.
L’effetto di tutto ciò è la disgregazione di interi nuclei familiari in cui i legami affettivi vengono ripetutamente feriti dall’ossessivo di una nuova dose da parte del consumatore. L’agito impulsivo privo di alcuna capacità di autoregolazione porta ad aggressività intradomestica e ad azioni delinquenziali capaci di eliminare ogni ostacolo, senza riserve, pur di procurarsi la somma per una nuova dose.
Le Comunità del territorio hanno pensato bene che non si può rimanere spettatori di un simile scenario, ma è necessario riflettere per agire considerato, altresì, che in tutta la città l’economia legata allo spaccio pare essere una delle risorse principali per la mafia e le attività commerciali ad essa legate.
Non è possibile negare il fenomeno, significherebbe colludere con esso, e neppure considerare il decreto Caivano come una risposta all’emergenza educativa. Intervenire in termini repressivi senza trattare l’agire preventivo significa non cogliere la portata degli accadimenti.
L’escalation di violenza sempre più grave è solo il sintomo di un processo di fragilità che abbisogna di cura, ma gli interventi non possono limitarsi ai sintomi emergenti e, piuttosto, è necessario pensare a come prevenire tanto disagio.
L’interrogativo dovrebbe essere: “come si arriva a questo deflagrante risultato?”. Ogni giorno ascoltiamo storie di resistenza in cui protagonisti sono i centri sociali, le agenzie educative del terzo settore, la palestre e gli ambulatori popolari, luoghi in cui i cittadini si mettono in gioco attraverso una proposta concreta per sopperire alla mancanza di servizi pubblici. Questi molteplici interventi riescono ad accompagnare migliaia di giovani ma senza di essi il problema sociale sarebbe esploso in modo esponenziale.
Non è possibile, però, accettare che lo Stato deleghi al privato sociale l’intervento educativo a favore dei minori o la promozione di microimprese per curare l’inserimento lavorativo di fasce di popolazione, come gli ex detenuti, che altrimenti non avrebbero nessuna possibilità di assunzione.
La cultura dello scarto continua ad avere come criterio di discernimento la quiete e il benessere di chi economicamente è più facoltoso ma, per una società integrata, è indispensabile la promozione della qualità di vita di tutti i cittadini e la custodia del diritto al futuro dei più piccoli.
Si pensi, ad esempio, allo sport quale risorsa per favorire la cultura del movimento, del gioco e delle regole. Garantire il diritto allo sport potrebbe avere delle ripercussioni straordinarie in termini di salute e di orizzonte di vita.
Come è possibile contrastare la povertà educativa o la dispersione scolastica senza creare biblioteche di quartiere, palestre popolari o centri educativi capaci di accompagnare la crescita dei minori?
Non sarà il piano punitivo a convincere i giovanissimi ad assolvere l’obbligo scolastico. Il piano del piacere è più forte di qualsiasi costrizione ed è per questo che è necessario restituire gusto e colore alle proposte di crescita.
Promuovere è avere cura, favorire la crescita di uno spazio interiore che può contrastare la spinta alla competitività efficentista, ai modelli centrati sulle apparenze da esibire e sulla velocità delle prestazioni o, ancora, all’anestesia del cuore per rimanere su un piano emozionale di superficie.
La risposta all’allarme droghe, come recita il titolo dell’incontro con gli operatori e gli utenti della Comunità Sant’Onofrio dell’Opera don Calabria, è l’imparare a custodire la vita. Non ci sono, a nostro avviso, altre ricette capaci di rispondere alla domanda di ascolto, relazione e sostegno che precede l’ingresso nel tunnel della tossicodipendenza.
Tornano in mente le parole di Danilo Dolci che così si esprimeva:
“C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato.
C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato”.