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Palermo, Psicologia e vita, Ricerca di Dio, Testimoni

L’inquietudine francescana

La spiritualità francescana rimane dirompente anche ai nostri giorni perché ancorata al Vangelo secondo l’orizzonte della minorità fraterna e cioè del rimanere in cammino custodendo lo spazio e il passo del fratello più piccolo.

Custodisce chi si prende cura e, dunque, vede il bisogno dell’altro facendosi prossimo fino a chinarsi per tendere la mano. La relazione fraterna è possibile, allora, quando si smette di rimanere ripiegati su se stessi e ci si apre alla realtà circostante dove Dio si rivela.

Questa postura vale per tutti e tre gli Ordini della famiglia francescana, in pochi forse sanno che il carisma di Francesco si esprime attraverso i tre rami che comprendono i frati, le clarisse e i terziari e dunque nella itineranza dei primi, nella vita claustrale delle seconde e nella immersione nel quotidiano propria dei laici e di tutti coloro che fanno del carisma francescano uno stile di vita connotato da una specifica identità ed appartenenza.

Abbiamo appena concluso il ritiro dell’Ordine Francescano Secolare di Palermo Santa Maria della Pace che ha coinvolto un centinaio di laici che hanno trovato uno spazio in questo tempo estivo per sostare in fraternità e condividere la risonanza sul Cantico delle Creature.

Ora non stiamo a riflettere sul senso della sosta per non lasciarsi travolgere dal tran tran quotidiano che rischierebbe di strappare il gusto dell’esserci ma vogliamo porre l’attenzione sulla necessità di tornare alle relazioni fraterne per restituire umanità ai nostri giorni.

La crisi attuale verte, a mio parere, su una assai diffusa mancanza di fiducia per cui ciascuno agisce come se l’altro non esistesse avendo come unica mira il proprio benessere.

Il paradosso francescano, di fatto, si oppone al mito occidentale della comfort zone ossia del procurarsi un’aria vitale priva d’ansia e di assoluta piacevolezza che, alla fine, si traduce in una imperturbabile indifferenza rispetto alla realtà che sta attorno. Il francescano, piuttosto, si lascia provocare nutrendo una sana inquietudine per il bene dell’altro.

Diversamente la passiva rassegnazione a cui assistiamo rivela un patto sociale fragile dove l’individualismo è l’opzione promossa per trovare equilibrio e benessere. Stiamo pagando, infatti, le conseguenze di simile scollamento tra politica e cittadinanza attiva basti pensare ai ripetuti episodi di violenza nelle nostre città, le ferite all’ambiente che si diffondono imperterrite e di cui gli incendi sono solo una parte, o la privatizzazione dei servizi pubblici che sta facendo crescere, sempre più, il divario tra le fasce di popolazione. Fermarsi alla analisi dei sintomi denuncia la carenza di visione e di come la lettura della realtà sia offuscata da un quietismo perbenista tinto con pennellate di democratico “volemose bene”.

L’opzione francescana parte dalla relazione quale base per ascoltare e custodire, comprendere ed agire. Sempre la lettura dei fatti abbisogna di tenere presente il volto di chi scrive andando oltre le apparenze così come quando arriva una lettera da parte di una persona cara e, nel leggerla, la memoria ci rimanda a chi scrive. Allo stesso modo la relazione con il Cielo per il francescano è la chiave ermeneutica per comprendere la storia scrutando in profondità il senso delle cose e delle scelte opportune.

Francesco d’Assisi non si è lasciato ingannare dal sistema sociale che poneva a modello i “maggiori” marginalizzando i “minori”, piuttosto, restituendo al Signore la regia della storia, si è rivolto ai lebbrosi e nella relazione con loro ha trovato la dolcezza del cuore ossia l’autentica felicità.

La sua esistenza è stata segnata da una continua spoliazione che gli ha permesso di cogliere l’essenza di ciò che fa ricca la vita ed è così che è arrivato a consegnarsi, alla fine dei suoi giorni, “nudo sulla nuda terra” dopo avere dettato il Cantico delle Creature sebbene segnato da innumerevoli malattie. Proprio in quei giorni, malgrado il grave tracoma oculare che non gli permetteva alcuna esposizione alla luce, il suo sguardo interiore si apriva a vedere oltre ogni possibile buio arrivando a chiamare perfino la morte “sorella” in quando tappa di passaggio al Cielo e, quindi, alla pienezza dell’amore.

In Francesco troviamo, dunque, un cuore colmo di gratitudine perché riconosce che tutto è dono e il suo animo si dilata fino lodare e ringraziare per quello che Dio fa per ciascuno. Quando si troverà rifiutato dai suoi stessi frati, perché fermo nella radicalità evangelica, dopo un lungo travaglio comprenderà che tutto va restituito a Dio senza appropriarsi di nulla, perché solo l’amore ha cittadinanza in Cielo.

Il ritiro immerso nella silva del convento cappuccino di Bivona, dunque, per le innumerevoli famiglie francescane è stato un tempo di sosta e di rigenerazione, dove l’ascolto della Parola e della testimonianza di Francesco si è mescolato alla condivisione fraterna perché è ripartendo dal volto del fratello e della sorella che ci sta accanto che è possibile avere comprensione della propria missione di vita.

Tornano alla mente le parole di don Pino Puglisi testimone dei nostri giorni: “Ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma. Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile. Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi. Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita”.