Un nuovo anno
Inizio d’anno, per accogliere l’inedito cammino dei giorni.
Come muovere il primo passo, quale criterio utilizzare per avviarsi lungo il cammino e, dunque, scegliere una determinata direzione, pare essere l’esperienza più faticosa ai nostri giorni.
Incertezze e continui dubbi impediscono il cammino di molti, mentre una eccessiva rigidità mentale trova altri ad andare spediti affrontando il tempo come fossero in continua apnea e impermeabile frenesia. In entrambi i casi il quotidiano rischia di spegnersi senza una reale espressione originale della vita, in quanto manca di creatività e, dunque, fiducia.
Si meraviglia chi trascorre il viaggio rimanendo in ascolto, chi si lascia attrarre dal nuovo, chi non cerca appagamento autoreferenziale ma resta aperto all’occasione per donarsi e, così, lasciarsi stupire.
Fiducia, dono e stupore, sono dunque coordinate essenziali per stare nel cammino della vita e quanti si organizzano secondo un criterio di conquista per aggredire il presente, di fatto, finiscono con l’isolarsi da ogni cosa perdendo l’occasione dei giorni.
Il Vangelo rivela nel segno di un neonato che, alla presenza dei genitori, giace in una mangiatoia avvolto in fasce, il profondo senso della ricerca umana. Il neonato è il Salvatore, ossia l’atteso per la liberazione delle genti, ed è presentato come uno di noi, non come uno straordinario potente della terra o del Cielo, ma un ordinario mortale che si affida con fiducia all’accoglienza altrui.
Di conseguenza tutti sono questionati e messi in movimento, per primi Maria e Giuseppe i quali non possono attribuirsi meriti ma la responsabilità della risposta. Loro colgono che l’impotenza non è motivo di ripiegamento vittimistico ma occasione per mettere a frutto quel che è possibile, infatti è proprio il possibile ad essere chiesto ad ogni persona. Anche il movimento dei pastori si regola sulla fiducia senza precomprensioni. Sebbene costituissero una categoria marginalizzata e pericolosa, per la società del tempo, vanno lasciandosi scomodare da un annuncio, la parola li muove verso una grotta e lì contemplano con stupore.
Per tutti è un’esperienza indecifrabile eppure la realtà li tocca fino a destare meraviglia ed è questo ingresso del Cielo nella storia a costituire il centro della fede cristiana. Il tempo non è più il luogo dell’attesa o della fuga verso un futuro migliore ma diventa lo spazio della scoperta e dell’incontro, un tempo pieno e cioè abitato dalla presenza di Dio. Fino a quando l’umanità andrà dietro a mire di perfezionismo, attraverso la finanza o l’organizzazione tecnocratica, eluderà la possibilità dell’incontro svuotando di senso la bellezza dei giorni in quanto propinerà, quale modello, un individualismo sempre più competitivo o un collettivismo privo di unicità personale.
L’incontro è esperienza dell’esserci in relazione all’altro, è possibilità di dono e accoglienza, è condivisione e perciò tessuto d’amore. Chi non sa amare non può avere lettura della storia o, meglio, leggerà gli accadimenti come eventi parcellizzati frutto della vittoria del potente di turno. Israele, piuttosto, inizia a fare esperienza del “Dio con noi” che, dunque, si rivela attraverso la relazione con il suo popolo, facendosi prossimo fino a condividere i travagli più grandi. Nella sofferenza si coglie quanto si ama una persona e al contrario l’indifferenza dice della disaffezione: Gesù si farà vicino alla precarietà dei piccoli e affronterà l’ingiustizia del mondo mantenendo, al contempo, la visione d’amore del Padre e l’amicizia con l’umanità intera.
Per il contemporaneo questa storia pare come una favola, narrare dell’amore o del perdono desta dei sorrisi sarcastici come se tali parole non avessero alcuna cittadinanza in questo mondo. E, infatti, profonde contraddizioni si colgono quando ai grandi proclami per la pace segue la rincorsa agli armamenti, non ultimo l’assembramento di contingenti militari nell’Est Europa; lo stesso dicasi per una certa antimafia che non si prende cura del contrasto alla povertà educativa nei contesti più a rischio e di prevenire le devianze attraverso fattive politiche di promozione umana; o, ancora, quando alla promessa di benessere per una società seguono investimenti illimitati per il proliferare dei centri scommesse o l’incremento delle turnazioni di lavoro senza sosta per garantire centri commerciali sempre più appetibili.
Segno eloquente di tali nefandezze, prive di reale cura per il prossimo, è il Mediterraneo trasformato, negli ultimi decenni, in cimitero di popoli.
Un’immagine differente ci viene regalata in questi giorni, è la testimonianza di Maria la quale custodisce tutti quegli accadimenti nel suo cuore. Lei per prima si è messa in gioco, rischiando la stessa vita per aderire ad una proposta sconvolgente: permettere al Cielo di assumere la carne umana. Significa che ha colto che nella fragilità di quello che siamo può rivelarsi un’altra storia, una relazione nuova che, nel tempo comprenderà, potrà abitare ogni ostilità continuando ad amare.
Il “serbare nel cuore” dunque non traduce più il rancore o l’astio per le offese ricevute, Maria non entra in un rimuginìo mentale come accade a tanti ma custodisce la memoria perché è nel tempo i singoli eventi potranno avere lettura unitaria e ciò attraverso la trama dell’amore. È quello che scoprirà in pienezza al mattino di Pasqua e, nel mentre, rimarrà a segnare il suo viaggio custodendo la promessa che l’amore è l’unica legge che potrà cambiare la storia di questo mondo.
Iniziamo questo nuovo anno facendo memoria di tanti testimoni che si sono spesi per amore della Comunità, quanti hanno dato la vita per il Bene comune e per la Giustizia che ancora oggi da molti viene calpestata per fini utilitaristici. La loro memoria va custodita con il nostro quotidiano capaci di rivelare, anche noi, la promessa di Bene che ci è stata affidata dal Cielo e che oggi attende la nostra parte.