Siamo tutti colpevoli
Custodire il diritto di restare umani pare un privilegio ai nostri giorni! Ci sono momenti in cui è necessario sottrarsi alle ferree norme che vorrebbero trasformare la Comunità in una organizzazione burocratica che crede ad un equilibrio formale dettato dalle carte. È la stessa logica che ha preteso di progettare Città mettendo insieme tanti individui senza favorire una visione d’insieme e cioè senza partire dalle relazioni cominciando dagli spazi per favorirle.
Centrare tutto sull’efficientismo e la performance di turno ci ha disumanizzati tanto da indurre un senso di reciproca estraneità che porta ora alla passivizzazione depressiva, ora all’aggressività immotivata.
La sentenza che oggi ha condannato Mimmo Lucano ci lascia esterrefatti. Il senso di responsabilità di un sindaco che ha deciso di non rimanere indifferente di fronte ad una situazione emergenziale assai grave è stato ritenuto come un volere creare un’associazione allo scopo di commettere innumerevoli delitti contro la pubblica amministrazione fino al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La vera colpa del Sindaco di Riace è di avere accolto lo “straniero” e cioè persone che erano riuscite a sopravvivere fuggendo all’oppressione nei paesi di origine e ad un viaggio privo di certezze. Si è reso colpevole di avere riconosciuto il volto e la dignità degli scartati dal mondo globale, di quanti pagano il prezzo di un costante sfruttamento del Sud del mondo.
Ha avuto la colpa di credere che il sud del nostro Paese potesse offrire un modello per un processo di umanizzazione in cui ciascuno si scopre risorsa, dono, per l’altro. Riace è diventato un luogo simbolico che rivela la possibilità di andare oltre i formalismi e le costrizioni che impediscono lo sviluppo e l’espressione creativa.
La colpa, dunque, pare essere quella di rompere l’equilibrio della società dei consumi che genera scarto di cui non tenere conto.
Ci rendiamo conto che pure ci saranno state delle “infrazioni” alle regole e ciò merita chiarimenti, ma comprendiamo anche il carattere d’urgenza in cui versano tanti che altrimenti rischiano di pagare con la propria vita. Sono quei casi di cui la nostra giurisdizione tiene conto decretando che “il fatto non costituisce reato” quando ci si rende conto che si è agito per un bene superiore.
Se ieri il grave incendio che ha travolto la struttura dell’ex Calcestruzzi Selinunte, nel territorio di Campobello di Mazara dove stavano a ripararsi più di trecento lavoratori stagionali extracomunali, ha strappato la vita ad una persona e molte altre erano a rischio di essere avvolti dalle fiamme è perché da decenni si ignorano i bisogni di quella manodopera che viene in soccorso all’economia locale. Seppure la ricca produzione di olive nei Comuni di Campobello, Castelvetrano, Mazara del Vallo e Marsala è frutto del quotidiano lavoro di questi braccianti di fatto loro sono trattati in condizioni assai disumane e lasciati alla mercé del malavitoso di turno.
Lucano non si era confuso, non aveva peccato di “superficialità”, ma aveva considerato le risorse del luogo come persone e non come oggetti del mercato, non aveva assecondato l’indifferenza statale ma si era sentito rappresentante dello Stato che è chiamato a difendere i diritti di tutti, nessuno escluso.
Non si tratta di un eroe ma di un cittadino che avrà commesso sbagli ma che ha creduto che il bene comune è il bene di tutti e la custodia dei più piccoli è l’indice di civiltà di un Paese. Se privati dei processi di umanizzazione, allora, siamo tutti perdenti.