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Palermo, Ricerca di Dio

Il bene al Cielo va restituito

Rendiamo grazie al Signore perché è fedele alla Sua promessa, la consacrazione rivela l’opera che Dio può realizzare attraverso un povero uomo. Impariamo dal Povero di Assisi, lui che tutto ha restituito al Cielo perché nel Signore ha trovato compimento.

La vita di Francesco d’Assisi è tracciata da una continua spoliazione sino alla fine quando al termine della sua vita terrena lo troviamo “nudo sulla nuda terra” così come raccontano i biografi del tempo.

Ma per arrivare ad una simile pacificazione che lo porta a chiamare la morte “sorella”, Francesco attraversa la vicenda della vita senza sconti e cioè senza fuggire dal quotidiano che lo inchioda nella precarietà propria della vicenda umana.

Gli anni giovanili di apparente spensieratezza, vengono segnati da una grande inquietudine: il ruolo di animatore della compagnia degli amici come anche la sequela dell’ideale cavalleresco per assumere un ruolo di ulteriore rilevanza nella corte di Assisi, era già figlio del commerciante più ricco della valle, si riveleranno incapaci di rispondere alla sua ricerca esistenziale.

L’anno di prigionia, dopo essere stato sconfitto in battaglia, e la malattia che ne derivò, probabilmente costituisce il primo vero momento di arresto e di resa per quel giovane che mirava ad un’ascesa sociale così ambiziosa. Francesco imparerà presto che la vita non è calcolo, che non è programmabile secondo un criterio individualistico e, piuttosto, scoprirà la passione che lo anima nel profondo, quella che gli permetterà di riconoscere il vero interlocutore della sua ricerca.

Accade a tutti noi, soprattutto negli anni giovanili, di non comprendere appieno quel che cerchiamo e questo, spesso, porta a delusioni, cadute e ferite. Per Francesco d’Assisi l’esperienza fallimentare diventerà occasione di rinascita in quanto troverà nella via che porta all’essenziale il senso pieno della sua esistenza.

Quando farà esperienza della derisione degli amici di un tempo e della persecuzione del padre per le scelte fatte, dapprima, si vergognerà ed avrà paura a mostrarsi. Cioè vivrà una profonda solitudine relazionale accompagnata dalla precarietà esistenziale, dalla solitudine nel percepirsi vivo.

Questo processo di trasformazione inizia con l’ascolto della Parola e l’incontro con il lebbroso. La risonanza interiore di Francesco non è più emozionale e, dunque, guidata dal riconoscimento e dal compiacimento altrui. Prima aveva repulsione per i lebbrosi ma, ora, fatta esperienza dell’amore del Padre scopre un sentimento profondo di “dolcezza dell’animo e del corpo” che lo porta alla prossimità verso l’altro, nessuno escluso.

La relazione verticale viene ad illuminare e a dare sapore relazionale alla vita di Francesco il quale finisce di essere un cercatore di gloria per diventare un discepolo che riconosce le tracce del Maestro attorno a sé. La vicenda umana lo conquista perché è conquistato dal mistero della redenzione e cioè dall’amore del Padre che dona Suo figlio per salvare, guarire, l’umanità tutta.

È un affare poco comprensibile per chi ragiona in termini di interesse individualistico, Francesco non accumula ma lascia tutto, condivide con gli ultimi senza più ruoli da difendere.

Coltiva un nuovo ideale, controcorrente e inquietante, perde la cosiddetta “zona di comfort” per compromettersi senza più tenere nulla di proprio. Passare dalla idealizzazione – che vorrebbe piegare la storia, e la propria religiosità, alle proprie aspettative di compiacimento, – alla fede che immette nella storia con fiducia nella promessa di Dio costituisce una rivoluzione esistenziale.

La graduale spoliazione lo aiuta a comprendere che la sua vita non è in potere altrui: la questione non è legata alla inimicizia del padre ma alla mancanza di fiducia  nel Padre. Quando Francesco, spoglio, si affiderà al Vescovo e quindi alla Chiesa, farà un passaggio filiale indispensabile. È sulla base di questa fiducia che è possibile vivere da discepoli e cioè accogliendo l’amore del Padre. Fino a quel momento la vita di ciascuno rimane avara e cioè retta dai propri possessi, dalle vesti e dai ruoli che possiamo esibire per ottenere diritto di cittadinanza di fronte agli altri e a noi stessi!

Fino a quel momento rimaniamo mendicanti di affetti e di riconoscimenti, ma ciò genera competizione, rivalità e violenza. Francesco raggiungerà la pace solo quando il suo cuore rimarrà indiviso e cioè libero dal dovere accaparrare di tutto, scoprirà che solo l’amore del Signore basta.

Dobbiamo comprendere che Francesco difenderà la santa povertà non perché fine a se stessa ma perché gli permette di custodire il vero Bene. Francesco ha consapevolezza della propria debolezza, ha timore delle lusinghe e ne conosce il linguaggio, per cui aderisce a quella potatura evangelica propria di chi dona generosamente, per custodire il dono prezioso: l’amore cresce solo se lo si consuma. L’avaro, diversamente, inaridisce e si intossica dei suoi beni fino a perdere ogni tipo di capacità relazionale.

Potremmo intendere questo passaggio ad ogni vocazione cristiana. Anche gli sposi se non entrano nella logica dello spogliarsi di tutto non potranno accogliersi e donarsi reciprocamente. Quando il matrimonio diventa un possedere l’altro anziché accoglierlo per custodirlo, ecco che l’amore si spegne e il rapporto si trasforma in una convivenza insostenibile.

Riconoscere l’altro trasfigurando i suoi limiti è possibile quando si attinge alla Luce dell’amore autentico. L’altro non potrà mai soddisfare la ricerca di pienezza, la sua precarietà risulterà puntualmente inadeguata, anzi caricare il coniuge o l’amico di simile aspettativa non fa altro che costringerlo ad una maschera che gli impedirà di vivere. L’amore non è piegare l’altro a sé ma condividere il dono e questo è possibile quando si è colmi d’amore. La fonte sta da un’altra parte.

Francesco fa esperienza della propria precarietà e questo sarà un tratto costante del suo cammino spirituale ed esistenziale. Al termine dei suoi giorni si contano almeno quaranta malattie che avversano il suo martoriato corpo e, dall’esperienza di solitudine vissuta con totale affidamento a Dio – rinasce forte dell’amore del Padre.

Conosce che può reggersi solo su di Lui ed è così che prosegue il suo cammino di santità. Francesco riconosce che Dio opera e trasforma la sua vita e quello che di buono realizza è da ritenersi totalmente opera sua, di proprio, dirà, sta solo il peccato.

Il rapporto con il limite è questione centrale per l’uomo Francesco in quanto inizia un percorso di graduale spoliazione che gli farà conoscere e svelare tutte le maschere tipiche di chi intende coprirsi  per ottenere un prestigio in questo mondo. Alla fine dei giorni Francesco vorrà essere deposto “nudo sulla nuda terra” come a testimoniare che tutto trova pienezza solo in Cristo.

L’amore sponsale arriva a maturazione quando buttate giù le maschere ciascuno accoglie l’altro per quello che è accettandone le fragilità. Si tratta di abbandonare il fine utilitaristico imparando ad amare l’altro in modo gratuito come quando subentra una malattia e l’altro non può ripagare l’affetto ricevuto.

Francesco entra in questa postura relazionale quando dall’ascolto della Parola passa all’incontro con il lebbroso, è allora che ciò che “appariva amaro si mutò in dolcezza d’animo e di corpo”. Fino a quando aveva paura di perdere qualcosa e avvitava la vita attorno a se stesso, quale garante di felicità, ecco che la sensibilità di superficie gli faceva tenere distante chi poteva riportarlo al dato di realtà e alla sua vera origine, ora disarmato va incontro al lebbroso mosso dalla tenerezza del Padre e questa vicinanza lo inonda di amore.

La solitudine dei nostri giorni è data da questa incapacità di donarsi e accogliersi reciprocamente perché trincerati nella diffidenza e competizione. Francesco sceglie di stare fuori le mura, non solo quelle della città ma anche quelle dell’individualismo e coglie la prossimità è il vero antidoto ai mali del nostro mondo. Non si tratta di assenza di confini ma, piuttosto, della definizione di fronte all’altro che permette la cura e il servizio.

Senza questa distanza si cade nel possesso o nel ricatto manipolatorio, come se l’altro dovesse sentirsi in colpa se non mostra gratitudine infinita. Francesco si fa fratello e ciò facendo spazio all’altro, da “minore” secondo l’ordine sociale del suo tempo. Anche il lebbroso ha la precedenza e se accogli l’ultimo hai accolto tutti!

Un’ultima considerazione ci porta a meditare la testimonianza che Francesco dà del Signore, mai parla di sé e puntualmente rimanda al Padre che è nei cieli e a Gesù suo figlio donato per amore di ciascuno di noi. Francesco porta un cuore contrito perché sperimenta la profondità dell’amore che Dio ha per ogni creatura e le stesse stimmate sono segno dell’amore vivo del Signore che continua a consumarsi per il bene dell’umanità.

Francesco nel bene si riconosce opera di Dio, di proprio considera solo il peccato e cioè quanto ancora non è riuscito a consegnare al Cielo. Anche la nascita dell’Ordine restituisce al Signore, supera così il travaglio che lo vedeva angustiarsi per il rischio di un tradimento del carisma che Dio gli aveva suscitato.

Francesco se ne va al Padre piccolo e cioè povero per questo mondo e, di conseguenza, ricco del Regno dei Cieli.