Attesa e stupore nel tempo del Silenzio
Entriamo nel sabato del silenzio, giorno di ascolto profondo che unisce la mancanza con l’incontro, il dubbio con la fede, l’attesa con lo stupore, il desiderio con il dono.
Ai nostri giorni appare diffusa la tendenza ad unire gli opposti neutralizzando la differenza come quando il bene e il male vengono intesi in modo soggettivo e interscambiabile o la fedeltà alla scelta viene colta come una privazione di libertà.
La coincidenza degli opposti, così intesa, è in linea con la brama di onnipotenza dove tutto è comprensibile all’interno dei propri schemi e brame di possesso.
Sappiamo, piuttosto, che solo l’amore è capace di unire gli opposti ossia rivelare il nesso tra estremi che appaiono distanti tra di loro.
È il triduo pasquale ad esplicitare questa connessione dove la regalità viene coniugata con il servizio dello schiavo e la vittoria con la sconfitta della croce. L’ingresso nella morte quale conclusione della vita, secondo questo orizzonte impregnato dall’amore, diventa strada necessaria per arrivare al compimento dell’amore che non è la fine ma il fine di tutte le cose.
La postura racchiusa nell’espressione “Li amò sino alla fine” sintetizza l’atteggiamento di Gesù di fronte al tempo del dono totale. Non si arresta il Maestro malgrado le avversità che si frappongono lungo il cammino e con gesti paradossali esplicita la portata dell’amore.
Sebbene quanti lo hanno osannato acclamandolo “re” al suo ingresso in Gerusalemme e, poi, lo hanno tradito gridando “crocifiggilo”, Lui tiene uniti quei due atteggiamenti così estremi desiderando l’incontro con l’umanità intera, densa delle proprie fragilità. Chiamerà “amico” Giuda che lo tradisce e, dopo il rinnegamento di Pietro, continuerà a volgere lo sguardo amorevole sul discepolo. Il tradimento da parte dei discepoli, dunque, diventa l’occasione per rivelare il saldo legame che nutre il Maestro.
Il profumo di puro nardo va sparso senza misura e così essere conservato per sempre, al pari del pane eucaristico che offerto al Padre diventa cibo per tutti.
Gesù si spoglia di ogni cosa consegnando anche la tunica per servire i commensali e lavare loro i piedi così come facevano gli schiavi pagani considerati ultimi tra gli uomini.
A Pietro viene intimato di deporre la spada e così affermare la regalità del Signore il quale, proprio sulla croce, totalmente disarmato, sarà riconosciuto come il Figlio di Dio.
Gesù, allora, rivelerà il volto dell’amore consegnando tutta l’umanità al Padre, senza riserve, rendendosi prossimo anche di chi si pone nelle più estreme periferie esistenziali.
L’immagine è quella del torchio che deve portare al succo d’uva per poi diventare vino o del frantoio che produce la farina per il pane. Il passaggio che unisce gli estremi è dato dal consumarsi sino alla fine apparentemente scomparendo ma, in realtà, rimanendo presente per sempre.